Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

resistenza italiana

Leopoldo Gasparotto, un uomo d'Azione

20 Juin 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

Il 22 giugno 1944, su ordine del Comando delle SS di Verona, Poldo Gasparotto, prelevato dal campo di Fossoli veniva ucciso a tradimento. Nel 81° anniversario della sua fucilazione, l'ANPI di Lissone lo ricorda.

Leopoldo Gasparotto era nato a Milano il 30 dicembre 1902. Educato in una prospettiva laica nei valori della patria e della democrazia, durante gli anni trascorsi al liceo Berchet anima il gruppo studentesco repubblicano; nel 1922 si iscrive al Partito repubblicano e frequenta il Circolo milanese di via Sala, cenacolo del mazzinianesimo lombardo.

Nell'agosto 1923 inizia il servizio militare in artiglieria; si congeda nel novembre dell'anno successivo col grado di sottotenente di complemento. Laureatosi nel 1926 in giurisprudenza all'Università di Milano si specializza come avvocato civilista e coadiuva il padre nello studio legale di via Donizetti 32. Il Partito repubblicano viene disciolto, a fine 1926, insieme alle altre formazioni antifasciste; Gasparotto, contrario al partito dominante rinunzia alla politica, sfiduciato sulla possibilità di rovesciare la dittatura.

Gli anni della gioventù sono rallegrati dalla passione per l’alpinismo. Alle prime impegnative escursioni sulle Dolomiti e sul Brenta, seguono lungo tutto il corso degli anni venti ardite ascensioni sul monte Bianco, sul monte Rosa, sulla Grigna.

Alle escursioni montane Gasparotto unisce dalla metà degli anni trenta il gusto per il volo; conseguito il brevetto di pilota, acquista un piccolo apparecchio Breda 15 S, per il quale utilizza la pista di Taliedo (poi intitolata a Forlanini).
 

Il matrimonio con Nuccia Colombo nel 1935.

Lina (Nuccia) Colombo (Varese 1913-Pisa 1977) condivide col marito l’impegno antifascista; passata in Svizzera il 12 settembre 1943 col figlioletto Pierluigi (nato il 6 luglio 1936), nel marzo 1944 dà alla luce il secondogenito Giuliano e dopo tre mesi rimpatria clandestinamente per partecipare alla Resistenza, affidando la prole a Ofelia Muradore, tabaccaia di Besso (Lugano), che ospitava Ernesta Battisti, vedova di Cesare, e la sua famiglia. Assunto il nome di battaglia di Adele, Nuccia Gasparotto coopera col Comando di piazza di Milano e tiene i contatti con dirigenti delle Brigate Matteotti.

Gasparotto divenuto tenente di complemento di artiglieria di montagna, nel giugno 1935 frequenta la Scuola di alpinismo di Aosta. In quella circostanza diviene amico del generale Luigi Masini, direttore della scuola (filosocialista).

Nel 1936-38 Gasparotto è istruttore ai corsi per guide alpine organizzati presso la Scuola di Aosta. Secondo la testimonianza del giovane imprenditore Leonida Calamida: “Nell'inverno 1938, Gasparotto mi invitò con altri due o tre amici ad arruolarmi ad un corso straordinario per allievi ufficiali, aperto a coloro che, pur avendone avuto diritto, non avevano voluto durante il servizio militare di leva essere ufficiali. La durata del corso sarebbe stata di un semestre, con frequenza di una ventina di giorni al mese. Era importantissimo - ci disse Poldo - che frequentassimo questo corso, per poi, come ufficiali, svolgere fra i militari opera di proselitismo antifascista. In una eventuale insurrezione, l'appoggio dell'esercito o almeno la sua benevola neutralità sarebbero stati di capitale importanza per noi. Poldo era convincentissimo ed io non potevo che dargli ragione.”

A Milano nel 1942 si stabiliscono i primi contatti clandestini in ambito repubblicano-azionista, intensificati dal gennaio 1943, quando lo studio legale Gasparotto, in via Donizetti 32, diviene il punto di smistamento del foglio clandestino «L'Italia Libera», organo del Partito d'Azione, formazione politica cui Poldo Gasparotto aderisce, partecipando alle riunioni convocate clandestinamente. Caduto il regime, l'attività politica ritorna alla luce del sole. Lo studio legale di Mario Paggi," in via Brera 2, diviene il quartier generale del Partito d'Azione milanese. A metà agosto Milano è colpita da terribili bombardamenti aerei; chi può lascia la metropoli, per sfuggire a una situazione insostenibile. Le distruzioni acuiscono l'odio verso la guerra e alimentano la sensazione di un prossimo rivolgimento di fronte. Nell'estate alcuni azionisti, tra cui Poldo Gasparotto, organizzano una rete informativa, per segnalare agli alleati gli spostamenti delle truppe tedesche; la villa di famiglia in località Cantello Ligurno, a mezza strada tra Varese e la Svizzera, diviene la base logistica dell'attività illegale, avviata nella prospettiva della lotta contro l'occupazione nazista.

La clandestinità, l’arresto e la prigionia

Nei primi giorni di settembre, quando appare imminente il rovesciamento delle alleanze militari, Poldo Gasparotto progetta con Pizzoni la formazione della Guardia nazionale, struttura militare per il reclutamento di volontari decisi a opporsi ai tedeschi. Al mattino dell'8 settembre il generale Ruggero assicura l'esecutivo antifascista dell'imminente consegna di armi, ma prende tempo. In serata Badoglio rende noto l'armistizio. L'indomani mattina si presenta alla sede del Comando di piazza, in via Brera, una delegazione del Comitato di Liberazione Nazionale milanese; accanto al comunista Girolamo Li Causi vi è Luigi Gasparotto, tra i più decisi nell'incalzare il titubante generale Ruggero. Il 9 settembre il Partito d'Azione stampa e distribuisce un volantino inneggiante al binomio Esercito e Popolo: «chiunque tenti di spezzare questa unità è nemico del popolo e della nazione italiana», proclamano gli azionisti, nel rivolgere un appello all'arruolamento della cittadinanza.

L'azionista Giuliano Pischel, partecipe degli eventi, indica la: paternità del progetto e ne sintetizza gli immediati sviluppi: «L'idea che aveva ventilato Poldo Gasparotto, della costituzione di una Guardia nazionale, veniva ripresa dal Comitato interpartiti tramutatosi in Comitato di Liberazione Nazionale. Ma l'unità operativa tra esercito e popolo resta un'utopia.

Il generale Ruggero, timoroso delle ritorsioni tedesche, si è limitato a generiche promesse, senza esporsi a livello operativo. Il suo atteggiamento è influenzato dall'arrivo del tenente colonnello dei Carabinieri Candeloro De Leo, presentatosi quale emissario del Comando supremo. De Leo, dirigente del servizio segreto militare, vanta contatti col generale Ambrosio e induce Ruggero alla passività.

Un episodio illuminante sulla condotta dei vertici militari nei confronti della nascente organizzazione partigiana, è quella che vide protagonista Rino Pachetti, comandante partigiano. La notte del 9 settembre Pachetti organizzò con Poldo Gasparotto un'azione alla Caproni di Milano; autorizzato dal Gen. Ruggero e con la collaborazione di dirigenti della fabbrica, con pochi uomini uomini disarmò i carabinieri di guardia allo stabilimento e prelevò due autocarri su cui caricò 96 mitragliatrici calibro 7,7 con circa 300.000 colpi e 80.000 maglie per nastri. Questo ingente bottino doveva armare gli uomini, di cui Pachetti aveva assunto il comando, che si andavano raccogliendo tra Cernobbio e il ed il confine svizzero. Il Generale Binacchi, comandante del presidio militare di Como, fermati gli uomini di Pachetti e approfittando della sua assenza, sequestrò le armi che furono poi consegnate ai tedeschi.

Il 10 settembre i rappresentanti del comitato cittadino (Gasparotto, Li Causi, Damiani e Pizzoni) consegnano al comandante di Corpo d'armata una lettera programmatica, per indurlo a rompere gli indugi e ad assecondare l'azione patriottica.

Quel medesimo giorno il generale Ruggero incontra emissari del Comando germanico, da lui rassicurati sulla propria disponibilità. Nel pomeriggio un nuovo abboccamento con gli esponenti antifascisti sancisce la rottura dei rapporti: l'alto ufficiale ha infatti concordato coi tedeschi che l'esercito non ostacolerà l'occupazione della città.

Privi di armi, i promotori del CLN tengono un comizio in piazza Duomo e poi passano nella clandestinità. Scontri sporadici con i tedeschi culminano il pomeriggio del 10 settembre nei pressi della stazione centrale: civili armati si oppongono all'occupazione della stazione e negli scontri uccidono tre militari germanici. In serata il generale Ruggero legge alla radio un comunicato in cui informa dell'avvenuta occupazione delle principali città della Lombardia e dell'Emilia Romagna. In sostanza il Comando di piazza, su direttiva di De Leo, ha lasciato agire indisturbati i tedeschi.

Al mattino dell’11 settembre i punti nevralgici della metropoli sono sotto controllo germanico.
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Su istruzione di De Leo, il generale Ruggero scioglie la Guardia nazionale, sulla base della normativa che vieta ai cittadini l'uso non autorizzato delle armi. Le dinamiche del capoluogo lombardo si ripetono con impressionante analogia in numerose altre città: da Torino a Firenze a Roma. In Lombardia, quel medesimo giorno, reparti germanici assumono pacificamente il controllo di Brescia e di Cremona. I vertici militari restano inerti, quando non collaborano apertamente con l'occupante. Le modalità dell'armistizio, l'ambiguità del comunicato letto da Badoglio alla radio, la fuga del re e dei ministri gettano le forze armate nella confusione, tanto più che i tedeschi sferrano un'impressionante offensiva nella penisola e nei presidi italiani all'estero. Il comportamento di De Leo si chiarirà con l'immediata adesione alla Repubblica sociale italiana, per la quale dirigerà il Servizio informazione militare (SIM). Il 12 settembre i tedeschi, completata l'occupazione di Milano, perquisiscono i cittadini e fermano i militari, in violazione degli accordi stipulati col generale Ruggero. La popolazione è disorientata e demoralizzata dallo scioglimento dell'esercito, disgregatosi all'apparire del nemico. Lo stesso giorno vengono occupate, senza colpo ferire Varese, Como e Sondrio.

Il 12 settembre Gasparotto organizza il passaggio in Svizzera della moglie e del piccolo Pierluigi, attraverso un varco clandestino nella rete confinaria, nei pressi del valico del Gaggiolo. Nuccia si stabilisce a Lugano (dove 1'8 marzo 1944 darà alla luce il secondo figlio, Giuliano). Espatria anche Luigi Gasparotto, ricercato in quanto vecchio antifascista; da Bellinzona si collegherà ai rappresentanti del governo Badoglio in Svizzera.

Con i familiari al sicuro nell'asilo elvetico, Leopoldo Gasparotto passa alla clandestinità (nome di battaglia: Rey) e assume la guida della struttura militare lombarda del Partito d'Azione, coordinandosi col Comitato militare del CLN di Milano, costituito a metà settembre: «Sostituto e primo collaboratore di Parri fu Poldo Gasparotto, il quale partecipò alle riunioni del Comitato militare con tanta frequenza che in alcune testimonianze compare come membro effettivo».

I tradizionali moduli militari si dimostrano inadatti alla lotta contro l'esercito occupante e i reparti collaborazionisti; gruppi numerosi e poco mobili prestano il fianco ad attacchi micidiali, condotti con uno spiegamento di forze cui non è possibile opporre una resistenza frontale. Gasparotto fa tesoro di questa constatazione e dispiega un'azione su due livelli: in ambito urbano e nelle vallate lombarde; tiene viva a Milano un'organizzazione clandestina e alimenta i gruppi costituitisi in località fuori mano. Tra le realtà periferiche di cui è animatore e catalizzatore vi è la provincia di Bergamo, dove si reca di frequente per impiantare la rete militare.

Rey si sposta di frequente dalla città alle vallate alpine, per coordinare l'attività clandestina delle bande e organizzare depositi di armi: visita la Val Brembana e la Val Codera, il Pian dei Resinelli e il Colle di Zambla, ponendo a buon frutto la conoscenza di quelle zone montuose, frequentate sin dagli anni venti in escursioni alpinistiche.

 

Il Triangolo Lariano, quella zona che si protende nel lago compresa tra Como, Erba, Lecco e Bellagio, da classico riferimento per le gite e le vacanze dei milanesi divenne un luogo attraversato da un flusso costante di soldati allo sbando, prigionieri alleati, perseguitati politici in fuga. A metà ottobre in un incontro a Pontelambro tra Leopoldo Gasparotto, il Col. Alonzi, incaricato dal Comitato militare del CLN milanese di tenere i collegamenti con il Comasco, il Col. Morandi, il Ten. Fucci e Giancarlo Puecher si esaminano le possibilità di organizzare nuclei stabili di partigiani nella zona del Triangolo e canali di espatrio più sicuri di quelli che spontaneamente erano stati creati nella zona dalla popolazione, dal clero e da esponenti locali dei partiti antifascisti. I fuggiaschi venivano guidati attraverso percorsi secondari per evitare posti di blocco e pattuglie in perlustrazione, trasbordati dalla sponda orientale a quella occidentale del Lario da barcaioli fidati e quindi accompagnati da valligiani, spesso anche contrabbandieri, sui sentieri che si inerpicavano sui monti che separano il Comasco dalla Svizzera.

Il 23 ottobre passa di nascosto il confine per incontrarsi in una villa di Lugano con esponenti del Comitato di liberazione attivi in Svizzera e informare gli Alleati delle caratteristiche e degli sviluppi assunti dalla guerriglia partigiana.

Dal punto di vista politico l’area in cui Gasparotto opera include – con gli azionisti – repubblicani, socialisti e liberali.

Tra le priorità dell'organizzazione azionista vi è l'approntamento di una via di fuga verso la Svizzera per ebrei, ex prigionieri alleati e ricercati politici. La vita clandestina è dura, col frequente abbandono di un rifugio e la ricerca di un nuovo asilo, nel continuo timore di essere segnalati da una spia o di incappare in un posto di blocco. L'esistenza precaria, incalzata da fascisti e tedeschi, preclude i contatti con i familiari. Saltuari biglietti, portati oltre confine da persone sicure, contengono poche righe e sono redatti in modo da non provocare danni se dovessero finire in mani nemiche. Sostenuto da un ottimismo di fondo, Gasparotto vede prossime la liberazione della patria e la fine della dittatura fascista.

A Milano i tedeschi giocano contro il movimento partigiano la carta di Luca Osteria, il «dottor Ugo», l'abile segugio che dopo un quindicennio di lavoro spionistico per conto della polizia fascista è passato al servizio dei nazisti.

A metà pomeriggio di sabato 11 dicembre è programmato, nel nascondiglio di piazza Castello, l'incontro con emissari dei gruppi partigiani del monte Grigna. Si tratta di uno degli appuntamenti periodici per fare il punto della situazione, scambiare notizie e concordare una strategia comune.

Un evento imprevisto scompagina i piani e mette la polizia fascista sulle tracce del ricercato. Alle ore 17 la città è già avvolta dalle tenebre. Gasparotto, appena entrato nel portone di piazza Castello 2, viene afferrato da alcuni poliziotti, che lo gettano per terra, lo immobilizzano e gli chiudono le manette ai polsi.

La vita clandestina si è protratta per tre mesi, dopo la lucida visione della necessità di iniziare senza indugi la lotta armata.

Portato a Porta Nuova, in un grande edificio scolastico divenuto base logistica di formazioni paramilitari fasciste, che lo utilizzavano come carcere e luogo di tortura, Gasparotto viene poi rinchiuso a San Vittore, nella cella 12 del sesto raggio, col numero di matricola 864,  a disposizione dei tedeschi. La retata dell’11 dicembre è dovuta alla spiata del sessantottenne Luigi Colombo, proprietario di una farmacia del centro cittadino.

Resistere agli interrogatori non è facile. l tedeschi interrompono la segregazione soltanto per portare la loro vittima nella camera di tortura. La violenza fisica è integrata dalle pressioni psicologiche. A Gasparotto si chiedono i nominativi dei compagni; dai prigionieri sospettati di contatti con lui si pretendono rivelazioni sul suo ruolo. Nessuno dei compagni di lotta di Gasparotto ha subito conseguenze dal suo arresto; nell'estate 1944 Indro Montanelli, riparato in Svizzera, ricorderà con riconoscenza la capacità di serbare il silenzio in circostanze così pesanti: «Quando fu arrestato seppi da Martinelli che Poldo aveva taciuto il mio nome, insieme a quello di tanti altri, nonostante le torture a cui era stato sottoposto.

A Gasparotto viene persino serrata la testa in un cerchio di ferro, senza tuttavia riuscire a farlo parlare del CLN milanese né dei rapporti stabiliti con l'intelligence alleata, tra Lombardia e Svizzera. Le SS, consapevoli dell'importanza del personaggio, cercano in ogni modo di piegarne la tempra. Settimana dopo settimana, il detenuto resiste all'isolamento, immerso nei suoi pensieri e attento ai minimi segnali di vita che gli pervengono dalle altre celle.

Nella primavera del 1944 buona parte del gruppo dirigente del Partito d'Azione milanese è sotto chiave, in condizioni fisiche deplorevoli per il trattamento vessatorio praticato dai tedeschi. Rimangono liberi - oltre a Parri - Ugo La Malfa, Riccardo Lombardi e Leo Valiani.

Invece della deportazione in un Lager del Reich, il prigioniero viene internato a Fossoli.
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Il 22 giugno, su ordine del Comando delle SS di Verona, è prelevato dal campo e ucciso a tradimento.


Bibliografia:

- “DIARIO DI FOSSOLI” di Poldo Gasparotto - a cura di Mimmo Franzinelli - Bollati Boringhieri, Torino 2007

- “Storia del Partito d’Azione” di Giovanni De Luna – Utet Libreria 2006

- “La calma apparente del lago” di Vittorio Roncacci – Macchione Editore 2004


Io so cosa vuol dire non tornare.

A traverso il filo spinato ho visto il sole scendere e morire.

Ho sentito lacerarmi la carne le parole del vecchio poeta:

“Possono i soli cadere e tornare,

a noi, quando la luce è spenta, una notte infinita è da dormire”.

Primo Levi


 


Leopoldo Gasparotto ritratto da un compagno di prigionia a Fossoli e una pagina del Diario
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dal “Diario di Fossoli”

26 aprile

L'autobus corre attraverso Carpi, poi Fossoli e infine [ ... ] scorgiamo un cartello POL-LAGER. Siamo al campo.

Ci inquadriamo, ad libitum, a gruppi di venti, veniamo avviati ad una baracca ...

30 aprile

Il grosso soldato tedesco ha ucciso un ebreo con una rivoltellata, per errore.

Sono andato all'infermeria per farmi fare un'iniezione endovenosa di calcio e, per la prima volta dopo cinque mesi, mi sono guardato allo specchio, avendo il piacere di non riconoscermi. Eppure gli amici dicono che in questi tre giorni sono migliorato.

18 maggio

Ascensione. La bandiera non viene inalberata!  Con amici sento il desiderio di ritornare alla baracca. Nella baracca, sono attratto dal mio «castello», finisco nevitabilmente per sdraiarmi sul pagliericcio e rinchiudermi nella mia tana. Cinque mesi di isolamento mi hanno abituato, come molti cani tenuti troppo a lungo alla catena, a non sentirmi me stesso se non sono isolato, nella mia cuccia. Pure, partecipo alla vita del campo: mi sforzo di presenziare, quando vi son chiamato come legale, ai «consigli di campo» e, più raramente, alle serotine assemblee di camerata.

15 giugno

Per la prima volta da oltre vent'anni non sono, in quest'epoca, sulle guglie della Grignetta o della Presolana, sul nudo granito della Val Masino o sugli sterminati ghiacciai dell'Oberland bernese e del Bernina. Quando rivedrò le montagne?

da "Diario di Fossoli" di Leopoldo Gasparotto

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1943 - 1946: dalla monarchia alla repubblica. Cronologia.

13 Mai 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

I re sabaudi erano re d'Italia «per grazia di Dio e volontà della nazione»; nella repubblica il principio della sovranità risiede unicamente nel popolo.

 

«Vivere in repubblica è stato per i democratici e per i popolani del Risorgimento, quindi per le avanguardie radicali dell'Italia unita legate alla memoria e alla lezione di Garibaldi e di Mazzini o anche alla tradizione del socialismo rivoluzionario di Pisacane […] un ideale e un motivo di lotta di più generazioni. A quelle radici si raccorda la nascita della Repubblica italiana, nel 1946, quando le grandi organizzazioni popolari - i moderni partiti di massa e democratici - imposero pacificamente l'estromissione della monarchia al culmine di tutto un ciclo storico, nel momento in cui il prestigio della casa regnante, già coinvolto nel ventennale compromesso col regime fascista, era crollato nella sconfitta e nella non imprevedibile (e non imprevista) rovina del paese.»

 

Di seguito una cronologia di quel che è accaduto fra il 1943 e il 1946, un quadriennio di intensa vita collettiva e di una lotta politica molto vivace e ricca che isola volutamente il contesto della «questione istituzionale». Il problema della monarchia era il primo problema politico, di ordine generale, che si ripresentava alla coscienza nazionale al momento stesso della caduta del fascismo.

Lo scioglimento del nodo politico e ideale fra la dinastia sabauda e il popolo italiano si è verificato, nel '46, senza rilevanti residui (non ne è nata, ad esempio, una «questione monarchica»); e ciò sta anche a significare che l'avvento della repubblica, in fondo, era ormai divenuto funzionale alle istanze, alle esigenze di rinnovamento democratico e di progresso civile largamente prevalenti nel paese, dopo l’esperienza della dittatura fascista.

 

1943

marzo. Scioperi operai a Torino e Milano. La crisi del regime assume dimensioni di massa; le forze conservatrici prendono le distanze dal fascismo.

10 luglio. Sbarco anglo-americano in Sicilia.

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25 luglio. Mussolini esautorato dal Gran Consiglio; colpo di Stato monarchico; governo Badoglio. Ha inizio il periodo dei «quarantacinque giorni ».

22-25 agosto. Costituzione del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP).

5-7 settembre. Primo convegno nazionale del Partito d'Azione a Firenze: ne esce un programma repubblicano.

8 settembre. Annunzio dell'armistizio con gli Alleati.

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9 settembre. «Fuga di Pescara »: i Savoia e Badoglio abbandonano la capitale e si rifugiano a Brindisi. A Roma ha inizio la Resistenza e si forma il CLN.

23 settembre. Mussolini, sotto la protezione dei tedeschi, lancia la «Repubblica sociale», ultima metamorfosi del fascismo collaborazionista.

28 settembre. Comitato permanente d'azione fra PSIUP e PCI.

13 ottobre. Badoglio dichiara guerra alla Germania.

16 ottobre. IL CLN centrale (Roma) rivendica un governo straordinario dotato di poteri costituzionali. La questione istituzionale divide i partiti antifascisti.

30 ottobre. Impegno degli Alleati, alla conferenza di Mosca, sulla democratizzazione del governo italiano.

5 novembre. Ercoli (Togliatti) puntualizza da Radio Milano Libertà, la questione del re e pone l'obiettivo di un'Assemblea nazionale costituente.

17 novembre. Ricostituzione, a Brindisi, del governo Badoglio, con personale trasformista, militare e tecnico, sempre avversato dall'antifascismo militante.

8 dicembre. Il I Raggruppamento motorizzato «Savoia» entra in linea a Montelungo al fianco degli Alleati.

 

1944

21 gennaio. Sbarco alleato ad Anzio. L'obiettivo di una rapida avanzata su Roma fallisce.

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28-29 gennaio. Congresso di Bari dei CLN: rivendica l'abdicazione del re e forma una «giunta esecutiva».

31 gennaio. IL CLN centrale attribuisce al CLN di Milano poteri di «governo straordinario».

11 febbraio. Il governo Badoglio si trasferisce a Salerno; poco dopo il re, pur rifiutando l’abdicazione, acconsente segretamente al proprio ritiro.

22 febbraio. Dichiarazioni di Churchill al Comuni, in appoggio al governo Badoglio, e alla monarchia.

1-8 marzo. Scioperi di massa contro i nazifascisti nell'Italia settentrionale: consolidamento della Resistenza.

12 marzo. Comizio dei partiti di sinistra, a Napoli, contro le dichiarazioni di Churchill e la monarchia.

14 marzo. L'URSS riconosce il governo Badoglio.

1° aprile. Risoluzione dei Consiglio nazionale del PCI, riunito da Togliatti per un governo di unità nazionale e antifascista.

12 aprile. Dichiarazione di Vittorio Emanuele III: impegno ad istituire la luogotenenza nelle persona del figlio Umberto II all’atto della liberazione di Roma.

21 aprile. Si costituisce il governo Badoglio-CLN. Croce, Sforza, Togliatti, Mancini, Rodinò ministri senza portafoglio. È la «svolta di Salerno».

3 giugno.«Patto di Roma», fra comunisti, socialisti e cattolici: è posta la base dell'unità sindacale nella CGIL.

4 giugno. Le truppe alleate entrano a Roma. Viene attivata la luogotenenza e si forma il governo Bonomi.

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6 giugno. Sbarco anglo-americano in Francia. A Roma si costituisce il Partito democratico italiano, estraneo al CLN e dichiaratamente monarchico.

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9 giugno. Per iniziativa dei CLN, le formazioni partigiane sono inquadrate nel Corpo Volontari della libertà.

25 giugno. Primo decreto legislativo sulla convocazione della Costituente. Entra in funzione la «tregua istituzionale ».

12 agosto. Il generale Raffaele Cadorna è paracadutato nell'Italia, settentrionale; assumerà il comando del CLN.

5-7 novembre. Convegno dei triumvirati insurrezionali del PCI.

25 novembre. Crisi dei governo di unità nazionale, aperta dai liberali. Bonomi rassegna le dimissioni nelle mani del luogotenente.

7 dicembre. Secondo gabinetto Bonomi, formato da DC, PCI, PLI, Socialisti e azionisti su posizioni critiche.

27 dicembre. Esce a Roma il giornale L'uomo qualunque, che nel corso del '45 promuoverà un «partito dei senza partito».

 

1945

2-12 gennaio. Conferenza di Yalta (Roosevelt, Stalin, Churchill).

28 gennaio. Primo congresso della CGIL a Napoli.

31 marzo: Memoriale all'ONU dei separatisti siciliani.

12 aprile. Morte di Roosevelt. Gli succede Truman.

25 aprile. Insurrezione partigiana a Milano.

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28 aprile. Mussolini è fucilato per ordine del CLN.

29 aprile. Gli anglo-americani entrano in Milano.

5 maggio. Fine della guerra in Europa.

maggio. Trattative dei Comitato di liberazione Alta Italia a Roma («tutto il potere ai CLN»). .

30-31 maggio. Il Risorgimento liberale attacca i CLN; il Popolo reclama il disarmo dei partigiani.

20 giugno. Formazione del governo Parri. È il culmine dell'influenza e del prestigio dell'antifascismo.

26 giugno. Scoccimarro propone il cambio della moneta. La proposta non verrà attuata.

7 luglio. Dopo il successo delle sinistre in Francia (13 maggio), i laburisti vincono le elezioni in Gran Bretagna.

6 agosto. Gli USA sganciano su Hiroshima la bomba atomica.

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2 settembre. Resa del Giappone e fine della guerra

11 settembre. Negoziati per il trattato di pace dell'Italia.

25 settembre. Convocazione della Consulta nazionale.

27 settembre. Croce difende alla Consulta i regimi liberali del prefascismo criticati da Ferruccio Parri.

14 ottobre. Manifestazioni del PCI e PSIUP in tutta Italia per rivendicare e accelerare i tempi della Costituente.

22-28 ottobre. XIX Settimana sociale dei cattolici italiani su «Costituzione e Costituente». Messaggio di Pio XII.

17 novembre. La giunta esecutiva del PLI apre la crisi di governo d’accordo con la Democrazia cristiana.

10 dicembre. De Gasperi succede a Parri alla testa del governo. Nenni ministro per la Costituente.

29 dicembre. V Congresso del PCI; si pronuncia per una Costituente sovrana e per una Repubblica di lavoratori.

 

1946

16 febbraio. Nasce il partito dell’ Uomo qualunque.

21 febbraio. Crisi e scissione del Partito d'Azione, subito dopo il congresso di Roma.

25 febbraio. Pio XII condanna l'ideologia comunista.

26 febbraio. Accordo di governo sul referendum istituzionale e sulle elezioni per la Costituente.

5 marzo. Discorso di Churchill a Fulton, alla presenza di Truman. Teoria della «cortina di ferro» e rilancio della «guerra fredda».

10 marzo-7aprile. Si conclude il primo turno delle amministrative: nei centri in cui si vota con la proporzionale PCI e PSIUP toccano da soli il 47,8 per cento.

12 marzo. Convocazione dei comizi elettorali per il 2 giugno.

2 aprile. Si forma la moderata e tradizionalista Unione democratica nazionale (Croce, Orlando, Nitti, Bonomi).

11-17 aprile. Congresso del PSIUP a Firenze: sinistra e destra (Saragat) si equilibrano.

12 aprile. Sforza, dopo aver auspicato un raggruppamento democratico delle «forze medie del paese», aderisce al PRI.

13 aprile. I monarchici danno vita al Blocco nazionale della libertà.

17 aprile. Inizio della campagna elettorale politica.

26 aprile. Il congresso della DC si pronuncia a maggioranza per la repubblica (60%). Il 23% è per la monarchia e il 17% si astiene. De Gasperi sfugge però al dilemma.

3 maggio. Il congresso liberale si pronunzia a larga maggioranza per la monarchia.

9 maggio. Abdicazione di Vittorio Emanuele III, che rompe la tregua istituzionale. Umberto diventa re («Re di maggio» per i repubblicani).

10-11 maggio. Manifestazioni monarchiche a Roma contro Nenni e Togliatti e per le dimissioni del governo. Controdimostrazioni repubblicane.

16 maggio. La Commissione alleata di controllo respinge la richiesta della Unione monarchica di sospendere il referendum.

19 maggio. «Giornata di preghiera» dell'Azione cattolica per la Costituente, in appoggio alla Democrazia cristiana.

24 maggio. Comizio monarchico del generale Bencivegna e manifestazione al Quirinale.

2 giugno

2 giugno. Voto popolare sul referendum e per la Costituente.

10 giugno. La Corte di Cassazione proclama i risultati del referendum già comunicati dal governo (12.672.767 per la repubblica, 10.688.905 per la monarchia).

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Si apre la crisi fra governo e luogotenenza. Umberto rifiuta la trasmissione dei poteri. «Ricorso Selvaggi», di parte monarchica.

12 giugno. Il clima da colpo di Stato monarchico sfocia a Napoli nell'assalto alla federazione comunista, che viene sanguinosamente respinto.

13 giugno. Il governo assume i poteri luogotenenziali e Umberto di Savoia è costretto a lasciare il paese.

18 giugno. La Corte di Cassazione emette il verdetto definitivo sui risultati del referendum.

25 giugno. Convocazione dell'Assemblea costituente.

28 giugno. Enrico De Nicola viene eletto dalla Costituente come capo provvisorio dello Stato (396 voti su 504).

 

Bibliografia:

Enzo Santarelli Dalla monarchia alla Repubblica-1943·1946. La nascita della Costituzione italiana Nuova Iniziativa Editoriale 2007

 

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La Resistenza non ha colore

4 Mai 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

Ufficiale medico sudafricano? Partigiano «negro-americano»? Yankee di origine africana? Tutti indizi veri, ma imprecisi: non era facile decifrare l’enigma del cadavere di un civile dalla pelle scura rinvenuto tra le vittime della strage nazista in Val di Fiemme, avvenuta a ostilità concluse il 2 maggio 1945. Chi era quel giovane «mulatto» sul cui corpo esanime vennero rinvenute le insegne dei prigionieri del campo di concentramento di Bolzano, come attestò Giuseppe Morandini, inviato sul luogo del massacro dal Comitato di Liberazione Nazionale?

Merita più di un racconto la vicenda di Giorgio Marincola, partigiano di colore della Resistenza: ne dà conto la densa biografia Razza partigiana (Iacobelli, pp. 174, euro 14,90), volume in cui due giovani storici – Carlo Costa e Lorenzo Teodonio – ricostruiscono tramite documenti d’archivio, riferimenti storiografici e testimonianze dirette la parabola di vita dell’unico partigiano «nero» d’Italia. Figlio di un italiano residente in Somalia, maresciallo di fanteria di stanza a Mahaddei Uen, 50 chilometri a nord di Mogadiscio, Giorgio nasce nel 1923 e ben presto dice addio all’Africa: a differenza di tanti altri commilitoni, infatti, il padre Giuseppe riconosce il pargolo avuto da una donna locale e porta con sé Giorgio e la sorella Isabella in patria nel 1926. Qui l’uomo si sposa con una sarda e i Marincola si stabiliscono a Roma, ma il piccolo Giorgio va dai nonni paterni a Pizzo Calabro dove riceve il soprannome di «Yo-yo». Rientrato a Roma per gli studi, frequenta il liceo Umberto I: qui subisce l’influsso di Pilo Albertelli, docente di filosofia, antifascista, che indirizza il giovane italo-somalo sulla via del dissenso al regime. Valore quanto mai sentito dal mulatto Marincola: le leggi razziali del 1938 impedivano i rapporti tra italiani e «sudditi dell’Africa orientale italiana», ovvero i somali, mentre una nuova norma del 1940 impediva il riconoscimento dei meticci da parte del genitore italiano, sbarrando la strada per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Albertelli, membro del Partito d’Azione, ispirò Marincola con abbondanti dosi di antifascismo liberale: leggeva Benedetto Croce, il giovane mulatto, e appuntava stringenti riflessioni sulla libertà politica: «La concezione liberale presuppone dei valori morali a base delle libertà politiche da essa richieste, quali la libertà di pensiero e di stampa, di discussione e di associazione. E quali valori morali che possano veramente far sviluppare e rendere degna della loro funzione le libertà sopracitate, noi crediamo essenziali l’onestà, la lealtà, il rispetto verso le istituzioni e le leggi dello Stato e verso il prossimo».

Proprio dall’educazione ricevuta sui banchi Marincola decise di entrare nelle file della Resistenza dopo l’ 8 settembre: si arruolò in una squadra di «Giustizia e Libertà» e partì per il Viterbese nel febbraio 1944 coi libri di medicina sottomano perché nel frattempo si era iscritto alla facoltà di Medicina: «Voleva ritornare in Somalia e lo studio gli serviva per apportare aiuto alle popolazioni di laggiù» , ricorda un compagno. Dopo la partecipazione all’azione partigiana nelle campagne laziali, Marincola venne ingaggiato dagli inglesi: con il nome di battaglia di Mercurio fu assoldato per la missione Bamon e paracadutato nelle campagne di Biella quale agente di collegamento con le truppe anglo-americane dirette a Nord. Il suo impegno fu così convincente che il capitano di Sua Maestà Jim Bell lo lodò così: «Era l’unico della Bamon che desiderava realmente fare qualcosa e non sprecare il suo tempo e denaro a divertirsi». Ferito in un assalto ad un reparto nazista, Marincola viene arrestato nel gennaio 1945 con il nome di Renato Mariano, quindi picchiato dai fascisti perché inneggiò alla Resistenza anche da prigioniero, durante una trasmissione di propaganda fascista cui fu costretto. Mandato a Torino e quindi a Bolzano, venne rinchiuso nel locale campo di concentramento che fungeva da smistamento verso la Germania. Il 30 aprile 1945 viene liberato ma si dirige verso la Val di Fiemme dove, arruolandosi ancora tra i partigiani, incappa nella furia nazista di Stramentizzo: il 4 maggio 1945 Giorgio il mulatto cade colpito alle spalle dai tedeschi in ritirata.

di Lorenzo Fazzini da Avvenire

 

 

nella foto Marincola (a destra) con un compagno d’armi

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In ricordo di Eugenio Colorni, sognando una nuova Europa

13 Mars 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

rêve d’Europe, traum von Europa,  droom van Europa, dream of Europe, όνειρος της Ευρώπης, sonho da Europa, sueño de Europa

Chi era?

Eugenio Colorni (Milano, 22 aprile 1909 – Roma, 30 maggio 1944) è stato un filosofo, politico e socialista italiano.

Oltre che per le sue opere filosofiche, Colorni è noto come uno dei massimi promotori del federalismo europeo: mentre era confinato, in quanto socialista e antifascista, nell'isola di Ventotene, partecipò con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, anch'essi lì confinati, alla scrittura del Manifesto per un’Europa libera e unita, che poi da quel luogo prese il nome. In seguito, nella Roma occupata dai nazisti, curò l'introduzione e la pubblicazione clandestina di questo documento fondamentale per lo sviluppo dell'idea federalista europea.

Fatti salienti della sua breve vita

Dopo due anni trascorsi in Germania - come lettore di italiano all'Università di Marburg, dove aveva approfondito i suoi studi su Gottfried Wilhelm Leibniz - nel 1933 era tornato a Milano. Abbandonato l'impegno sionistico degli anni dell'Università, aveva cercato collegamenti con l'antifascismo militante, impegnandosi per far rivivere nell'Italia settentrionale il "Centro interno" del Partito socialista.

L'8 settembre del 1938, all'inizio della campagna razziale promossa dal regime, fu arrestato dall'OVRA a Trieste, in quanto ebreo ed antifascista militante, venendo pertanto rinchiuso nel carcere di Varese. I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli «di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all'estero».

Dal gennaio del 1939 all'ottobre del 1941, Colorni fu confinato nell'isola di Ventotene, dove proseguì i suoi studi filosofico-scientifici e discusse intensamente con gli altri compagni confinati, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria e Altiero Spinelli.

 

Nel 1941, partecipò alla stesura del Manifesto per un’Europa libera e unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene.

Nella sua "Prefazione" al Manifesto, auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro universalista, come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra.

Nell'ottobre del 1941, riuscì ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante lo stretto controllo della polizia, riuscì ad avere contatti con alcuni degli anti-fascisti locali.

Il 6 maggio del 1943 riuscì a fuggire da Melfi, rifugiandosi a Roma, dove visse in clandestinità.

Dopo l’arresto di Mussolini, il 25 luglio del 1943, si dedicò all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato nell'agosto dalla fusione del PSI col giovane gruppo del Movimento di Unità Proletaria.

A seguito dell'8 settembre, svolse nella capitale un'intensissima attività nelle fila della Resistenza: prese parte alla direzione del PSIUP e s'impegnò a fondo nella ricostruzione della Federazione Giovanile Socialista Italiana e nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti.

Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestino.

Il 28 maggio del 1944, una settimana prima della liberazione della capitale, venne fermato da una pattuglia di militi fascisti della famigerata banda Koch: tentò di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni, morì il 30 maggio, a soli 35 anni.

 

pagina dell'Avanti con l'articolo alla memoria di Eugenio Colorni
pagina dell'Avanti con l'articolo alla memoria di Eugenio Colorni
pagina dell'Avanti con l'articolo alla memoria di Eugenio Colorni

pagina dell'Avanti con l'articolo alla memoria di Eugenio Colorni

Trascrizione dell’articolo dell’Avanti! Del 18 luglio 1944 a lui dedicato.

Noi lo pensavamo nella schiera dei migliori, dedito ai nuovi compiti costruttivi del socialismo; con la sua forte intelligenza, con la passione e l’ardore che recava per la sua multiforme autorità. Ma egli non è più coi nostri compagni. È stato trucidato in Roma dai nazi, nei giorni stessi che sgombravano la città.

Dopo nove mesi di una lotta in cui s’era buttato tutto, come il suo ardente temperamento lo portava, mutatosi egli filosofo in uomo di guerra; quando in vista della liberazione agognata, non tanto per uscire da un pericolo che impavido aveva quotidianamente sfidato, quanto per potersi misurare nelle opere di pace, per recare ad attuazione un vasto programma di lavoro e di studi, è stato abbattuto come un cane per la via.

Eugenio Colorni era entrato giovanissimi nell’antifascismo militante e come socialista aveva lavorato per anni nella illegalità cospirativa.

Uomo di vastissima cultura, si era segnalato a Trieste dove insegnava storia e filosofia, esercitando grande fascino sui giovanissimi, assetati di qualche luce nelle tenebre della scuola fascista. Nel 1938 era stato arrestato, con una grande inscenatura antisemita, e poi assegnato al confino. Era riuscito a fuggire e da Roma aiutò in quegli anni i compagni dell’isola a gettare le basi del Movimento Federalista, di cui anche nella Roma arroventata degli ultimi mesi, continuò ad essere attivissimo assertore:

Egli faceva parte della redazione dell’Avanti! Clandestino e a lui si debbono iniziative culturali di partito che ebbero vivo successo e che egli si proponeva di sviluppare con idee originali come scuola di cultura socialista non appena la libertà fosse stata recuperata. Ma questa libertà che egli dimostrò d’amare più che la vita ha voluto anche il suo olocausto.

primo numero de L'UNITA' EUROPEA, voce del Movimento Federalista Europeo

primo numero de L'UNITA' EUROPEA, voce del Movimento Federalista Europeo

In ricordo di Eugenio Colorni, sognando una nuova Europa
In ricordo di Eugenio Colorni, sognando una nuova Europa
In ricordo di Eugenio Colorni, sognando una nuova Europa
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primavera del 1943: gli antifascisti italiani confinati a Ventotene

13 Mars 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

Ventotene è un'isola del Mar Tirreno, situata al largo della costa al confine tra Lazio e Campania, in provincia di Latina.

Isole Pontine

Durante il periodo fascista, sull'isola furono confinati numerosi antifascisti, nonché persone considerate non gradite dal regime.

Antifascisti-verso-il-confino.jpg

Tra gli altri Sandro Pertini, Luigi Longo, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Eugenio Colorni, Giovanni Roveda, Walter Audisio, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi. Furono proprio questi ultimi due antifascisti a scrivere sull'isola, nella primavera del 1941, l'importante documento Per un'Europa libera e unita. Progetto di Manifesto diventato noto come Manifesto di Ventotene. Nel documento la federazione degli Stati d'Europa, sul modello statunitense, viene indicata come l'unica soluzione per la salvezza della civiltà europea.

Luigi Longo, confinato politico a Ventotene, ha scritto nel suo libro “Un popolo alla macchia”:

«Mentre tutto intorno crescevano e s'avvicinavano le fiamme della guerra, mentre nelle città e nelle campagne lavoratori, impiegati, professionisti e intellettuali si agitavano, si muovevano, premevano per avere pace e libertà, nelle carceri e nelle isole di confino italiane centinaia e migliaia di antifascisti si struggevano nella loro forzata inattività, tendevano ansiosamente l'orecchio a tutti i suoni, a tutte le briciole di notizia che giungevano dall'esterno, soffrivano crudelmente per le pene della patria e sentivano che presto, forse prestissimo, sarebbero stati chiamati a prendere in mano le sorti del paese e a tentarne l'estrema salvazione.

L'isola di Ventotene era come la capitale di questo mondo di captivi. Nella primavera del '43 essa raccoglieva un migliaio circa di dirigenti e di umili militanti di tutte le correnti dell'antifascismo italiano. Eravamo finiti là provenienti da tutte le parti - molti dopo cinque, dieci e anche quindici e più anni di reclusione sofferta - prelevati dalle città e dalle campagne d'Italia perché sorpresi a parlare contro il fascismo e la guerra; reduci, noi garibaldini di Spagna e gli emigrati, dai campi francesi di internamento, dove eravamo stati rinchiusi allo scoppio della guerra. Ci affratellavano le comuni sofferenze, le stesse speranze e un uguale amore di libertà.

Due volte la settimana un battello congiungeva l'isola al continente: portava le provviste, qualche familiare e sempre nuovi confinati. Ma portava anche i giornali e le notizie dall'Italia. Scorrevamo avidamente i comunicati ufficiali, che cercavamo di completare e di arricchire leggendo tra le righe, ma; soprattutto, correvamo a scoprire le comunicazioni confidenziali, “illegali”, che ci arrivavano nascoste nelle pieghe di un vestito, nella copertina di un libro, nei “doppi” più impensati.

Con emozione indicibile seguivamo in quei giorni il corso della guerra, apprendevamo le rovine che si accumulavano nelle nostre città bombardate, salutavamo le prime manifestazioni di resistenza popolare alla folle politica fascista. Il sentire - come sempre di più sentivamo - la grande anima dell'Italia vicina a noi ci risollevava, ci riempiva di fierezza e di speranza. Erano lunghe serate di attesa, nelle tristi camerate della nostra deportazione: lunghi giorni di meditazione, dinanzi al mare d'Italia; un'impaziente preparazione alla lotta aperta, tempestata di presentimenti amari, di preoccupazioni non mai sopite per la sorte del nostro. popolo. Era la nostra vigilia immediata? Si giungerà in tempo? Si potrà evitare che il popolo venga defraudato dei suoi sacrifici e della sua riscossa? Si salverà l'Italia dal tedesco e da nuovi tradimenti?

Intanto non si perdeva il tempo. Ventotene non era soltanto l'isola di confino voluta dal fascismo, ma era anche, come ogni carcere e ogni altra isola di deportazione, un centro di formazione politica dei confinati e di direzione del movimento per la pace e la libertà all'interno del paese. Molti, tra coloro che salparono da Ventotene dopo la caduta del fascismo, lasciarono la vita sulle montagne o nelle segrete nazifasciste. Non per nulla gli antifascisti definivano, con una punta di scherzo e una di profonda serietà, “governo di Ventotene” il gruppo dei confinati. Tra Ventotene e il paese si svolgeva, soprattutto a mano a mano che la lotta si acuiva, un ricambio continuo e proficuo: il lavoro unitario dell'isola si rifletteva sui «fronti nazionali» dell'interno, e viceversa; avveniva uno scambio, un'osmosi incessante fra le esperienze di Ventotene - che non erano meramente teoriche, proprio perché operavano sulla realtà dei rapporti politici e umani tra i suoi “ospiti”, e influivano sulla ben più complessa realtà del paese - e quelle del continente.

Nonostante la sorveglianza, nessuno dei confinati rimaneva all'oscuro degli avvenimenti, e soprattutto delle considerazioni politiche che se ne potevano trarre. Per i comunisti ad esempio, Scoccimarro, Secchia, Li Causi, Roveda, Di Vittorio, io, elaboravamo ogni settimana un rapporto di informazione sulla situazione italiana e lo diffondevamo “a catena”, fino a toccare tutti i compagni dell'isola nel giro di cinque o sei giorni. Ognuno di noi si dava a passeggiare con due compagni, tirandosi appresso le guardie incaricate di pedinarci, le quali però si stancavano presto e finivano per mettersi a passeggiare e a chiacchierare tra di loro. Ciascuno dei due compagni, a sua volta, ripeteva la relazione che aveva udita ad altri due. Non si poteva certo giurare che il primo e l'ultimo contesto dicessero esattamente la stessa cosa; ma un orientamento, una qualche indicazione arrivava in questo modo, di certo, su tutte le questioni più importanti a tutti i compagni del confino».

Bibliografia:

Luigi Longo “Un popolo alla macchia” Editori Riuniti 1965

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scioperi e partecipazione alla Resistenza dei lavoratori milanesi e lombardi, negli anni dal 1943 alla Liberazione del 1945

11 Mars 2025 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

testo dell'articolo di Antonio Pizzinato

La partecipazione del mondo del lavoro alla lotta contro la guerra ed il nazifascismo non ha paragoni in nessun altro Paese europeo. 

SCIOPERI MARZO 1943

Gli scioperi, nel 1943, iniziano a Torino il 5 marzo alle “ore 10” alla FIAT, al suonare delle sirene di verifica del “preallarme”, poi si estendono ad altre fabbriche di Torino. A Milano dove da mesi e mesi era in corso la riorganizzazione, dopo gli arresti, di una rete antifascista clandestina – coordinata da Umberto Massola, Giovanni Brambilla e Giuseppe Gaeta – la mobilitazione è prevista nelle settimane successive. Il malessere fra i lavoratori, per i bassi salari, la scarsità dei viveri e le conseguenze della guerra, è forte e si espande. Tant’è che, il 18 marzo, gli operai del turno di notte della Breda Aeronautica scendono in sciopero – per 11 ore – e rivendicano l’aumento delle retribuzioni. Il lavoro viene ripreso a fronte dell’impegno della Direzione a rivedere le retribuzioni. Negli stessi giorni gli operai del “reparto 64” (produzione gomme) della Pirelli protestano, attuano scioperi di due ore, contro l’orario di lavoro continuativo ed ininterrotto per 12 ore, poiché la Direzione ha eliminato i sostituti. Mentre gli operai del secondo turno del “reparto bulloneria” della Falck Concordia di Sesto San Giovanni, dopo aver dialogato, sugli scioperi in Piemonte, con i camionisti FIAT, addetti al trasporto della componentistica (bulloni) dalla Falck alla FIAT, il pomeriggio del 22 marzo, iniziano lo sciopero. Questo costringe il Comitato clandestino del nord Milano ad anticipare lo sciopero nelle fabbriche. Alle ore 10 del 23 marzo, scioperano i lavoratori degli stabilimenti Falck, Breda, Ercole Marelli, Magneti Marelli, Pirelli Bicocca.


Nei giorni successivi gli scioperi, che hanno come epicentro Sesto San Giovanni, si estendono a Milano: Officine Borletti, Alfa Romeo, Brown Boveri (TIBB), Face Standard, Caproni, Salmoiraghi, Geloso nel legnanese, a partire dalla Franco Tosi, in Brianza, e numerose grandi e medie aziende nel milanese ed in Lombardia. Questi scioperi, che si ponevano come obiettivo di migliorare i trattamenti retributivi, le condizioni di lavoro, ottenere la fornitura - attraverso spacci aziendali – di alimenti, olio, vestiario, oltreche la fine della guerra, si svilupparono, in questa o quella fabbrica, anche nei mesi successivi. Scioperi che – tra marzo e luglio del 1943 – interessano, nel Nord Italia, 217 aziende ed oltre 150 mila scioperanti; essi ebbero un peso non secondario sul Consiglio Generale del fascismo e la destituzione di Mussolini il 25 luglio del 1943; la formazione del governo Badoglio e l’avvio di una nuova fase nella storia del nostro Paese. Nello stesso periodo centinaia di lavoratori (di cui 20 donne) vennero arrestati, di notte, nelle loro abitazioni considerati tra gli organizzatori e partecipanti agli scioperi, o per l’attività antifascista. Oltre 60 di essi sono milanesi e vennero rinviati a processo presso il Tribunale Militare di Milano.

Pur con tutti i limiti, presenti in questa prima fase delle lotte nelle fabbriche, si ricrea una aggregazione sociale tra i lavoratori delle fabbriche, i quali scioperano sfidando non solo la dittatura fascista, ma anche le norme della legge del 3 aprile 1926 (poi introdotte, nel 1930, nel Codice penale) che considerano lo sciopero un reato penale punito con due anni di carcere o con una multa di 1.000 lire (un mese di stipendio). Questi scioperi, oltre a scuotere il Paese, contribuiscono a rovesciare Mussolini, portano dei limitati benefici ai lavoratori a livello aziendale, ma sono di stimolo a due misure che vengono adottate dal Governo Badoglio: la nomina, il 3 agosto, dei Commissari sindacali: Bruno Buozzi, Giovanni Roveda e Gioachino Quarello ed, il 2 settembre 1943, la stipula dell’Accordo – tra Commissari sindacali e dell’Industria - per l'elezione delle Commissioni Interne. Quindi, prima dell’armistizio – anche grazie agli scioperi di Torino e Milano – si determina un mutamento della situazione e delle relazioni sindacali che – di fatto – tenta di avviare il superamento del corporativismo sindacale fascista.
 

8 SETTEMBRE: ARMISTIZIO, OCCUPAZIONE, NUOVI SCIOPERI

La sottoscrizione, da parte del Governo Badoglio, dell’armistizio con gli anglo-americani, l’8 di settembre 1943, e la fine dell’alleanza con i nazisti tedeschi, registra sia manifestazioni e scioperi nelle fabbriche di Milano che manifestazioni in varie città d’Italia. Nell’arco di alcune settimane il Paese è diviso in due, le truppe alleate salgono dal sud, mentre le truppe tedesche occupano, a partire dal Nord, il resto del Paese ed al Nord viene costituita la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.).

Nelle fabbriche inizia una nuova fase di lotta, mentre in molte – sulla base dell’accordo Buozzi-Mazzini – dopo un ventennio, si eleggono le Commissioni Interne.

Gli scioperi che, nelle grandi fabbriche della Lombardia, iniziano a svilupparsi a partire da novembre hanno contenuti rivendicativi sempre più precisi, vere e proprie piattaforme rivendicative che – pur con diversità, nelle varie fabbriche – prevedono :

- aumento del 100% delle retribuzioni (suddiviso nel 50% in natura (alimentari) ed 50% in denaro),

- corresponsione annuale di 192 ore come gratifica natalizia;

- elevare l’indennità giornaliera a 16 lire, per malattia ed infortunio, da corrispondere anche nei primi giorni di carenza;

- aumento delle razioni alimentari (grassi, olio, zucchero, ecc.) con distribuzione in azienda, creando spacci aziendali (ove non esistono) che devono fornire anche viveri ed indumenti;

- aumento della razione giornaliera di pane a 500 grammi;

- assicurare ai lavoratori combustibile e carbone;

- servizio mensa aziendale con due piatti (primo e secondo), per tutti i turni di lavoro;

- eguale trattamento annonario ed economico agli operai ed impiegati;

- parità di trattamento, per eguale mansione, tra uomini e donne;

- scarcerazione degli ex membri delle Commissioni Interne;

- cessazione della persecuzione politica a danno dei lavoratori;

- abolizione dei licenziamenti e le sospensioni dal lavoro.

A sostegno di tali richieste e della fine della guerra, le quali venivano presentate alle direzioni aziendali, dai comitati d’agitazione (o dalle C.I.), nelle fabbriche si svilupparono gli scioperi.

Il 13 dicembre, con inizio alle ore 10, scendono in sciopero decine di migliaia di lavoratori di Sesto San Giovanni, si bloccano FALCK, Breda, Ercole Marelli, Pirelli Sapsa, Magneti Marelli, ed altre aziende minori.

Lo sciopero è praticamente totale. I confronti con le direzioni non sbloccano la situazione. Il generale tedesco Zimmerman – che su ordine di Hitler e del generale Wolf era stato inviato, con poteri straordinari al comando tedesco di Milano – fa radunare sul piazzale dello stabilimento della Falck Unione, i lavoratori in sciopero della Falck. Dalla torretta di un carro armato, lo stesso svolge un intervento nel quale, dopo aver dichiarato che avrebbe esaminato e ricercato soluzione alle loro richieste, intimò: “chi non riprende il lavoro, esca dagli stabilimenti; chi esce dalla fabbrica è dichiarato nemico della Germania”. I lavoratori, a questa intimidazione, risposero proseguendo lo sciopero e lasciando tutti gli stabilimenti. Durante la notte centinaia furono arrestati; portati in carcere e poi nei campi di concentramento nazisti. La lotta proseguì (è da allora che Sesto San Giovanni, viene soprannominata “Stalingrado d’Italia”, con riferimento all’accerchiamento tedesco che era in corso a Stalingrado) e si estese in molte fabbriche del milanese. Il 5 gennaio 1944, il generale Zimmerman, compie un’analoga azione contro i lavoratori alla Franco Tosi di Legnano che sono in sciopero.

I soldati tedeschi, assieme a quelli della RSI, entrano in fabbrica, mettono al muro, nel cortile dell’azienda, 80 lavoratori, poi ne scelgono 60 compresi i componenti la C. I., li portano in carcere a Milano e 11 vengono deportati in campo di concentramento; nove non faranno più ritorno. Stessa operazione le SS attuarono alla Comerio di Busto Arsizio , con la deportazione di 5 lavoratori che non fecero più ritorno. Malgrado la violenta repressione, gli arresti e le deportazioni che vengono posti in atto dai nazifascisti diretti da Zimmerman, gli scioperi tra novembre 1943 e gennaio 1944 si estendono a nuove fabbriche, grandi e medie, della città e provincia. Questa fase, oltre agli scioperi in fabbrica, vede il formarsi dei nuclei partigiani (a partire dalle SAP e dai GAP), con l’attiva partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alle brigate partigiane, che si vanno aggregando e costituendo sia sulle montagne che nelle campagne a partire dall’Oltrepò Pavese. Ma questa fase e la successiva, di lotte e scioperi, è caratterizzata - è doveroso porlo in evidenza - da significativi risultati sul piano economico, normativo, ed alimentare. Questo si realizza sia attraverso i confronti che avvengono in fabbrica, con anche la partecipazione – spesso – di rappresentanti del comando tedesco, che quelli presso la Prefettura di Milano, la quale svolge un ruolo di intermediazione. Infatti oltre ad aumenti salariali, forniture di alimenti, gomme e copertoni per le biciclette, carbone, si prevede l’erogazione annuale delle 192 ore (la gratifica natalizia) e l’istituzione nelle aziende del servizio mensa con la fornitura di due piatti (primo e secondo). Il diritto al servizio mensa sarà sanzionato con Decreto prefettizio pubblicato sul Bollettino ufficiale.

Questi parziali risultati rafforzano la nuova aggregazione, coesione sociale tra i lavoratori e la lotta antifascista, riescono a sconfiggere il “neopopulismo”, il falso “operaismo”, che tenta di attuare la Repubblica sociale, nonchè resistere alla repressione nazista.

LO SCIOPERO DEL MARZO 1944

Con alle spalle queste esperienze, l’avviata ricostruzione della rete di nuclei partigiani (dopo gli arresti del 3° GAP, le fucilazioni del 20 dicembre all’Arena, ed il 31 dicembre al Poligono di tiro della Cagnola e molti altri, nonché lo scioglimento dei gruppi partigiani lungo l’Adda ed il Ticino) il primo marzo 1944 si attua lo sciopero generale del Nord Italia. A Milano lo sciopero generale ha una partecipazione superiore al previsto, coinvolge centinaia e centinaia di aziende ed oltre 350.000 lavoratori (oltre un milione 350 mila lavoratori scioperano in tutta Italia), bloccherà la produzione, a partire da quella militare per giorni. Il giorno successivo – il 2 marzo – scendono in sciopero, per la prima volta, i tranvieri bloccando i mezzi di trasporto sia nei depositi che ai capolinea. I repubblichini di Salò, tentano di far circolare i mezzi, ma non riescono a sbloccare la situazione, sia per gli errori che commettono portando i tram fuori dai binari;

ma soprattutto per la compattezza dello sciopero e la determinazione dei tranvieri, che protraggono lo sciopero per 5 giorni. Contemporaneamente il Paese viene privato anche di informazioni poiché scendono in sciopero i lavoratori (tipografi e giornalisti) del Corriere della Sera, il più diffuso quotidiano del Paese. In quei giorni, in numerose banche, restano chiusi gli sportelli, poiché i lavoratori del settore creditizio partecipano in forme diverse allo sciopero. Uno sciopero generale che per estensione, partecipazione, combattività e compattezza, assume esplicitamente il carattere di “rivolta”, mobilitazione, contro la fame, la guerra e l’occupante nazifascista. Con sempre più nettezza emerge anche la combattività delle operaie, delle lavoratrici. Le lavoratrici erano state le prime a protestare - già nel 1942 – manifestando per le vie di Sesto San Giovanni rivendicando più viveri. Gli interventi repressivi (arresti, deportazioni) sia da parte delle truppe tedesche che della milizia fascista non riescono a porre fine allo sciopero generale, il primo dopo vent’anni di dittatura fascista. Come fallisce anche il tentativo di far intervenire le imprese (per la resistenza delle stesse) per mediare con i lavoratori e far riprendere il lavoro. Lo sciopero generale incise anche sugli orientamenti delle popolazioni lombarde poiché durante la guerra si ebbe un forte aumento degli occupati nelle fabbriche milanesi. Basti pensare che ben oltre 150 mila lavoratori erano pendolari. Cioè si recavano giornalmente in città, provenienti dalle valli, in specie dal lecchese, bergamasco e bresciano. Tutto ciò favorì la presa di coscienza e la diffusione degli orientamenti antifascisti e dell’esperienza delle lotte in fabbrica, nelle comunità rurali. È in questo quadro che il Comitato d’agitazione interregionale – Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia – decise di diffondere clandestinamente - il sabato e la domenica - un volantino che invitava i lavoratori a riprendere il lavoro l’8 marzo. Lo sciopero generale è prettamente politico, non era caratterizzato da una piattaforma rivendicativa economico-sociale Lo stesso segna una svolta nella lotta contro l’occupante tedesco, il fascismo e la guerra, come indicato nel comunicato sullo sciopero e per la ripresa del lavoro del Comitato d’agitazione della Lombardia. Esso afferma: “La cessazione dello sciopero deve segnare l’inizio di una guerriglia partigiana con l’intervento di tutte le masse lavoratrici dentro e fuori la fabbrica […]. Oggi per l’esistenza del popolo italiano, vi è una sola soluzione: rispondere con la violenza alla violenza. Alle deboli e disordinate forze del nemico, dobbiamo contrapporre le solide e numerose forze armate dei lavoratori”. Questa svolta, partiva certamente anche dal presupposto che vi fosse un’accelerazione dell’avanzata delle truppe Alleate e, quindi, della liberazione del Paese entro il 1944. Ciò che, purtroppo, si verificò solo l’anno successivo. Gli sviluppi della lotta di liberazione videro una forte e ampia partecipazione dei lavoratori sia nei GAP, nelle SAP che nelle Brigate partigiane, le quali andavano costituendosi anche nelle fabbriche, e nei quartieri della città. La repressione durante gli scioperi del marzo 1944 a Milano, portò fra l’altro, arresti, deportazioni che riguardavano sia, in particolare, gli antifascisti, (già condannati dal Tribunale speciale al confino ed al carcere), presenti nelle fabbriche, ritenuti organizzatori degli scioperi, nonché operai, tecnici, impiegati, molti dei quali erano ragazzi e ragazze giovanissimi. Di essi, centinaia , non hanno più fatto ritorno dai lager di sterminio. Gli scioperi nel Nord Italia ed in particolare lo sciopero generale del marzo 1944 – unico in Europa – ebbero una forte ricaduta politica non solo in Italia, ma anche a livello mondiale per la diffusione, da parte delle radio, dei media, della notizia a livello internazionale. Essi dimostrano la ripresa di un ruolo autonomo della classe operaia, sia come coesione sul piano sociale , che nell’azione per la conquista della indipendenza, libertà e democrazia. Essi contribuirono altresì a portare a conclusione il confronto, già in corso da mesi, fra le correnti sindacali per la definizione del “patto di Roma” sulla ricostituzione del sindacato, del sindacato unitario che venne sottoscritta a Roma il 3 giugno 1944 da Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi, ed Emilio Craveri.

Ma mentre nel Paese prosegue la lotta partigiana, con l’attivo apporto della classe operaia ed il sabotaggio della produzione militare, nei luoghi di lavoro non si arrestarono gli scioperi per rivendicare miglioramenti economici, la fornitura di alimenti e carbone per il riscaldamento. I tedeschi e fascisti rispondono a questi scioperi con un’ondata repressiva senza precedenti: rastrellamenti e stragi sulle montagne, nelle valli ed in città, nonché con arresti e deportazioni nelle fabbriche che scioperano. Così, ad esempio, alla Pirelli Bicocca, mentre è in corso uno sciopero aziendale, alle 11 del 23 novembre del 1944, entra nello stabilimento un reparto delle SS tedesche ed arrestano indiscriminatamente 181 operai e due tecnici, che vengono portati in carcere per la successiva deportazione in campo di concentramento. Le SS respingono la richiesta dell’azienda di rilasciare 105 degli arrestati poiché specialisti indispensabili alla produzione. Il comando tedesco respinge la richiesta e convoca Alberto Pirelli “accusandolo, insieme alla direzione della società, di connivenza con gli operai … e di tolleranza verso gli elementi socialisti e comunisti …”. Quindi le SS rilasciano 16 operai e deportano in Germania tutti gli altri. La repressione nazifascista nei confronti degli scioperanti, in Provincia di Milano, durante il periodo resistenziale colpisce migliaia di lavoratori, 800 dei quali vengono deportati –Essi partono, rinchiusi nei vagoni bestiame, dal “binario 21” della stazione F.S. di Milano – con destinazione nei campi di concentramento. Nelle sole fabbriche del Nord Milano (Pirelli, Magneti Marelli, Breda, Falck, Stazione Locomotive di Greco, Ercole Marelli, ecc.), come ricordato sul “Monumento al Deportato” del Parco Nord, sono 635, oltre 200 dei quali non fecero ritorno. Poiché i lavoratori deportati in Germania, da tutta Italia, sono oltre 12.000, queste cifre indicano la dimensione ed il carattere della repressione nazifascista nel milanese. I lavoratori delle aziende più colpite furono nell’ordine: Breda, Falck, Caproni, Alfa Romeo, Pirelli, Innocenti. Infine i lavoratori, oltre a partecipare alla insurrezione armata nella fase conclusiva della liberazione, occuparono e presidiarono le fabbriche per impedire che i soldati tedeschi, in ritirata, distruggessero il patrimonio industriale del nostro Paese.

 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Da quanto sinteticamente illustrato sul ruolo e le modalità di lotta dei lavoratori milanesi nell’azione per la riconquista della libertà, la democrazia e l’indipendenza del paese con la Liberazione, si possono trarre le seguenti conclusioni.

1. La mobilitazione dei lavoratori, la partecipazione agli scioperi è stata possibile perché in modo puntuale la rete clandestina antifascista – già a partire dagli scioperi del marzo 1943 -, elaborò le piattaforme rivendicative da presentare alle direzioni partendo dai problemi concreti (retribuzioni, alimenti, condizioni di lavoro, diritti dei lavoratori - parità fra operai e impiegati, e tra donne e uomini -) oltre alla fine della guerra. Esperienza e prassi tutt’ora valida per aggregare i diversi mondi del lavoro.

2. Con quelle lotte e scioperi, mentre l’obiettivo fondamentale è la Liberazione e la fine della guerra, si conquistano risultati che aiuteranno e segneranno le conquiste sindacali della fase successiva alla Liberazione: la gratifica natalizia, il diritto al servizio mensa (con primo e secondo), la riconquista del diritto dei lavoratori ad eleggere le Commissioni Interne; elementi di parità fra uomo e donna e ed operai e impiegati.

3. Il ruolo dei lavoratori nella lotta di liberazione ed i valori di cui si fanno portatori nelle loro lotte, trovano implementazione nella Costituzione, che saranno poi tradotte in norme (salute, istruzione, previdenza, diritti dei lavoratori in fabbrica, parità-uomo donna) con decenni di mobilitazione e lotte per la conquista delle leggi attuative. Problema più che mai attuale per assicurare la parità di diritti, alle giovani generazioni, a fronte delle trasformazioni intervenute.

4. La ripresa e sviluppo dell’iniziativa dei lavoratori nelle fabbriche, la ricostituzione della coesione e solidarietà della classe operaia, ma anche dei vari strati dei lavoratori, favorisce la ricostituzione del sindacato unitario – la CGIL – come soggetto contrattuale e sociale autonomo (indipendente come diceva Di Vittorio) che dà un contributo importantissimo alla conquista della Repubblica ed alla elaborazione della Costituzione.

 

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Donne contro

7 Mars 2025 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana, #La Resistenza delle donne

Il contributo delle donne italiane alla liberazione dell’Italia dal regime fascista e dall’occupazione nazista.

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Appartenenti ai Gruppi Difesa della donna: 70.000

Donne partigiane: 35.000

Arrestate, torturate, condannate  4.653

Fucilate, impiccate o cadute: 623

Deferite, tra il 1926 e il 1943, al Tribunale Speciale Fascista Per La Difesa Dello Stato: 748 
Inviate al confino: 145

17 furono le donne decorate con Medaglia d’oro al Valor Militare

 

I “Gruppi Difesa della donna” furono una struttura attivissima nella guerra di Liberazione.

Il primo di questi organismi fu costituito a Milano nel novembre del 1943 da alcune esponenti di spicco dei Partiti che affluirono nel Comitato di Liberazione Nazionale, dopo la firma dell'armistizio, mentre i tedeschi assediavano le campagne e le città del Nord Italia, compiendo efferati rastrellamenti di civili, impegnati nella lotta contro il fascismo.

I Gruppi di Difesa della Donna e di Assistenza ai Combattenti della Libertà, da Milano, si estesero su tutto il territorio italiano ancora occupato, perseguendo l'obiettivo di mobilitare, attraverso un'organizzazione capillare e clandestina, donne di età e condizioni sociali differenti, per far fronte a tutte le necessità, derivate dalla recrudescenza della guerra.

Tali gruppi operativi femminili si segnalarono, durante la Resistenza, attraverso la raccolta di indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani e si adoperarono per portare messaggi, custodire liste di contatti, preparare case-rifugio, trasportare volantini, opuscoli ed anche armi.

I Gruppi di Difesa della Donna erano quindi un'organizzazione unitaria "aperta a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che volevano partecipare all'opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione". I Gruppi di Difesa della Donna, nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne, si proponevano la resistenza alle violenze tedesche , il sabotaggio alla produzione di guerra, il rifiuto di consegnare i viveri agli ammassi. I Gruppi di difesa della donna parteciparono alla organizzazione dei Comitati di liberazione periferici, e a quelli di agitazione nelle fabbriche; organizzarono scioperi contro fascisti e tedeschi e assicurarono l'assistenza alle famiglie dei carcerati, dei deportati e dei caduti.

I Gruppi di Difesa della Donna vennero ufficialmente riconosciuti dal Comitato di Liberazione dell'Alta Italia in un documento del 1944 nel quale si afferma: “Il Comitato di liberazione per l’Alta Italia, riconoscendo nei Gruppi di Difesa della Donna e di Assistenza ai Combattenti della Libertà un’organizzazione unitaria di massa che agisce nel quadro delle proprie direttive, ne approva l’orientamento politico e i criteri di organizzazione, apprezza i risultati sin ora ottenuti nel campo della mobilitazione delle donne per la lotta di liberazione nazionale e la riconosce come organizzazione aderente al Comitato di Liberazione Nazionale”.

 

Un padre della Repubblica come Ferruccio Parri dichiarò che «le donne furono la resistenza dei resistenti».

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La battaglia del San Martino

3 Décembre 2024 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

La battaglia del San Martino è una delle prime combattute in Italia nel novembre del 1943, quando una formazione al comando del ten. col. Carlo Croce si difese dall’attacco in forze dell’esercito tedesco.

san-Martino.jpgQuesto è il racconto di un protagonista, Giovanni Emilio Diligenti:

«Mio fratello ed io partecipammo alla battaglia di S. Martino, dove ci aveva inviati l'organizzazione clandestina comunista. Nella fortezza di S. Martino, sopra Varese, si era stanziato il gruppo Cinque Giornate, costituito poco dopo l'armistizio dal colonnello Carlo Croce. La formazione era composta per lo più da ex-avieri ed ex-ufficiali, ma in seguito vi affluirono molti operai di Cinisello Balsamo e di Brugherio, inviati dall'organizzazione clandestina di Sesto San Giovanni. Il colonnello Croce e gli ufficiali che guidavano la formazione si dichiaravano genericamente «badogliani» e seguivano una linea «attesista». Il reparto si era impossessato di una notevole quantità d'armi e di viveri con una serie di riuscite operazioni, come quella alla caserma della guardia di Finanza a Luino. Tutto era stato raccolto nella fortezza, che avrebbe dovuto diventare una base inespugnabile da cui sarebbe partita, in concomitanza con l'arrivo delle truppe alleate, la decisiva offensiva contro i nazi -fascisti. Inutilmente Gianni Citterio, inviato dal Clnai, cercò di convincere il colonnello Croce della necessità di dislocare le forze partigiane - circa centocinquanta uomini - in gruppi meno numerosi e più mobili, localizzati in diversi punti strategici. Prevalse purtroppo la mentalità degli ufficiali, illusi di aver creato una base inattaccabile.

Lo sbaglio fu pagato a caro prezzo: il 14 novembre più di duemila tedeschi mossero all'attacco, appoggiati da cannoni, mortai e anche da tre Stukas. La resistenza durò quarantotto ore, al termine delle quali il gruppo Cinque Giornate si disperse; la maggior parte dei suoi componenti si rifugiò in Svizzera. I partigiani morti in combattimento furono appena due, mentre trentasei furono fucilati dopo la cattura. Ben più pesanti le perdite nemiche: duecentoquaranta morti e un apparecchio (fui testimone oculare dell'abbattimento dello Stukas: un partigiano robustissimo, un vero gigante, prese sulle spalle una delle dieci mitragliatrici Breda pesanti di cui era fornito il reparto, fungendo da piazzola semovente; due altri sostenevano i piedi della mitragliatrice e un quarto sparava, finché riuscì a colpire l'aereo).

La difesa ad oltranza della posizione, concezione che esulava da una corretta conduzione della guerriglia, aveva sì provocato gravissime perdite tra le truppe attaccanti, ma aveva anche causato la fine di una formazione che, per la qualità e la quantità di mezzi e di uomini, avrebbe potuto rappresentare una grossa spina nel fianco dei nazi-fascisti per ancora molto tempo.

Durante la battaglia fui ferito alla gamba destra: la pallottola mi fu estratta con un paio di forbici da don Mario Limonta, un sacerdote di Concorezzo che fungeva da cappellano e da medico del gruppo. Di notte, don Limonta cercò di guidare me ed altri sei partigiani feriti nella discesa verso la pianura. L'impresa mi riuscì difficile, perché la ferita mi impediva di camminare, cosicché mio fratello Aldo dovette caricarmi sulle sue spalle. Dopo un po' perdemmo i contatti con gli altri feriti ma, sia pure a fatica, raggiungemmo la provinciale.

Attraversata la strada a una curva, procedendo un po' carponi e un po' sulle spalle di Aldo, arrivammo in un paese dove, all'alba, salimmo su un trenino che ci portò a Varese. Da qui in ferrovia a Saronno, poi in corriera a Monza e infine di nuovo a Cavenago. Nascosto in casa di Fumagalli, fui curato da Innocente e Mario, rispet­tivamente cucino e fratello di Raineri. In seguito, per ragioni di scurezza e per curare meglio la ferita, fui trasferito a Milano dal compagno Giacinto Parodi. In via Padova al 26, Parodi aveva un laboratorio artigiano di guarnizioni, mentre la sua abitazione era al n. 40 della stessa via. In casa di parodi fui curato da un medico che mi guarì completamente».

 

da “Partigiano in Brianza” di Giovanni Emilio Diligenti” Edito dall’ANPI di Monza

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il proclama del generale Alexander

17 Novembre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

Testo del proclama che il generale Alexander indirizzò ai partigiani italiani il 13 novembre 1944.

Il proclama venne trasmesso da «Italia combatte», la trasmissione più prestigiosa di Radio Bari.

«Nuove istruzioni impartite dal generale Alexander ai patrioti italiani. La campagna estiva, iniziata l’11 maggio, e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea gotica, è finita; inizia ora la campagna invernale.

In relazione alla avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l’avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno. Questo sarà duro, molto duro per i patrioti, a causa della difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità dei lanci; gli Alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti.

In considerazione di quanto sopra esposto il gen. Alexander ordina le istruzioni ai patrioti come segue:

  1. cessare le operazioni organizzate su larga scala;
  2. conservare le munizioni ed i materiali e tenersi pronti a nuovi ordini;
  3. attendere nuove istruzioni che verranno date o a mezzo radio “Italia combatte” o con mezzi speciali o con manifestini. Sarà cosa saggia non esporsi in azioni troppo arrischiate: la parola d'ordine è: stare in guardia, stare in difesa;
  4. approfittare però ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare tedeschi e fascisti;
  5. continuare nella raccolta delle notizie di carattere militare concernenti il nemico, studiarne le intenzioni, gli spostamenti, e comunicare tutto a chi di dovere;
  6. le predette disposizioni possono venire annullate da ordini di azioni particolari;
  7. poiché nuovi fattori potrebbero intervenire a mutare il corso della campagna invernale (spontanea ritirata tedesca per influenza di altri fronti), i patrioti siano preparati e pronti per la prossima avanzata;
  8. il gen. Alexander prega i capi delle formazioni di portare ai propri uomini le sue congratulazioni e l'espressione della sua profonda stima per la collaborazione offerta alle truppe da lui comandate la scorsa campagna estiva».
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Quei duemila carabinieri deportati dalla Capitale

7 Octobre 2024 , Rédigé par Renato Publié dans #Resistenza italiana

Sono migliaia i carabinieri che hanno combattuto nelle file della Resistenza o sono morti nei campi di prigionia,dopo aver rifiutato l’adesione alla repubblica di Mussolini. Di loro si è sempre parlato troppo poco, anche se si trovano carabinieri in tutte le grandi formazioni partigiane in Italia e all’estero. Come non si ricordano mai abbastanza i carabinieri che presero parte alle Quattro giornate di Napoli o i giovani “allievi” che a Porta San Paolo, a Roma, con i soldati e la popolazione, opposero una eroica resistenza armata all’invasione nazista della Capitale. E come non ricordare Salvo D’Acquisto, gli eroici carabinieri di Fiesole (Firenze) massacrati dai fascisti e dai nazisti, o gli ufficiali e militari uccisi alle Ardeatine?

C’è un episodio poco noto, ma dolorosissimo, che si svolse a Roma, durante l’occupazione nazista: la deportazione di oltre duemila carabinieri poi trasferiti nei lager e sottoposti, come al solito, ad ogni tipo di tortura, alla fame, al freddo per poi finire nelle camere a gas.

La studiosa e storica Anna Maria Casavola ha condotto una straordinaria inchiesta su quella deportazione dei carabinieri e ne ha ricavato un bel libro dal titolo: 7 ottobre 1943 - La deportazione dei carabinieri romani nei lager nazisti (Edizioni Studium, Roma).

Abbiamo ripreso dal volume, autorizzati gentilmente da Anna Maria Casavola, che ringraziamo, il racconto del viaggio dei carabinieri verso la prigionia e alcune terribili testimonianze.

LA DEPORTAZIONE RIMOSSA

copertina libro 7 ottobre 1943Il libro di Anna Maria Casavola fa finalmente luce sull'internamento da Roma dei Carabinieri catturati dai nazisti con l'acquiescenza delle autorità fasciste

Per 60 anni gli archivi storici dell'Arma dei Carabinieri hanno gelosamente custodito in silenzio la memoria del concentramento e della cattura di circa 2.500 Carabinieri presenti a Roma e della loro deportazione nei campi di internamento militare il 7 ottobre 1943, nove giorni prima della razzia nel Ghetto di Roma e della deportazione di 1.024 ebrei. Essi costituivano un patrimonio di forza addestrata, di conoscenza investigativa e di capacità organizzativa di uomini che, per la loro lealtà istituzionale, non apparivano affidabili agli occupanti nazisti e ai loro collaborazionisti della RSI. Un potenziale che, affiancato alla Resistenza - armata e non - del Fronte militare clandestino e dei partiti interni ed esterni al Comitato di Liberazione Nazionale, avrebbe reso difficilmente controllabile la Capitale.

Grazie all'accesso a documenti non più secretati di archivi militari italiani, tedeschi ed alleati e, soprattutto, a diari e testimonianze dirette di giovani allievi e maturi sottufficiali, ufficiali di carriera e militari volontari, il volume segue la vicenda da prima della cattura all'estenuante viaggio su carri ferroviari, all'internamento nei Lagere indaga sulle ragioni del rifiuto che - al pari degli altri 600.000 militari italiani - anche i Carabinieri provenienti da Roma (ma originari di ogni parte d'Italia) opposero alle lusinghe di chi li allettava ad arruolarsi nella RSI e ad entrare a far parte della Guardia Nazionale Repubblicana, di fatto sottoponendosi all'inquadramento e agli ordini della Milizia fascista e scegliendo di reprimere la rivolta di altri italiani contro l'occupante nazista.

L'occasione e la ricchezza documentaria delle testimonianze raccolte ha offerto all’Autrice la possibilità di affrontare anche altri aspetti della partecipazione dei Carabinieri alla Resistenza, fatto corale e non di singoli. Nuova e sorprendente luce, infine, viene fatta anche sulla liberazione di Mussolini dalla custodia di Campo Imperatore.

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