Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Giancarlo Puecher

17 Avril 2008 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Milano 1923 - Erba 1943

Agli albori della Resistenza in Brianza, possiamo rilevare come l'attività più consistente, la fioritura maggiore d'iniziative, avvenne nella zona tra Erba e Lecco. A Ponte Lambro, piccolo paese sulla collina erbese, già il 13 settembre si costituì un gruppo autonomo. Lo componevano don Giovanni Strada, parroco del paese presso la cui canonica si tennero delle riunioni clandestine. Poi Franco Fucci, ufficiale sbandato del5°alpini, reparto di stanza a Milano ma che era sfollato a Lecco dall'agosto del '43 a causa dei bombardamenti, Giovanni Rizzi quarantenne odontotecnico milanese, Bonamici ex-sottufficiale dell'Auto centro di Milano, Bartolomeo Alaimo, Andrea Ballabio, Enrico Bianchi e soprattutto Giancarlo Puecher Passavalli.

Giancarlo era un giovane di soli vent'anni, appartenente ad una nobile famiglia di origini trentine ma residente a Milano, dov'era nato in via Broletto. Con il padre Giorgio, di professione notaio, i fratelli e le zie era sfollato nella villa di loro proprietà a Lambrugo e già lì diversi sbandati avevano potuto apprezzare l'aiuto disinteressato dei Puecher. Proprio a Lambrugo, Giancarlo raggruppa un nucleo di giovani che fanno della villa il loro punto di riferimento. Il loro "capo" ha un forte sentimento patriottico, del tutto ideale, ma è ben chiara la sua visione del momento: i tedeschi sono invasori da combattere come i loro fiancheggiatori fascisti e la sua determinazione a fare la propria parte in questa lotta è molto forte. Emana grande decisione e carisma, malgrado la giovane età. I primi partigiani di Lambrugo sono dodici: Felice Ballabio, che abbiamo già trovato attivo nel gruppo dirigente di Pontelambro, Antonio Porro, no Ratti, Rinaldo Zappa, Carlo Rossini, Felice Gerosa, Elvio Magni, Guido Porro, Dino Meroni. Altri tre di questo gruppo originario cadranno durante la Resistenza, come Mario Redaelli nei giorni dell'insurrezione dell'aprile '45; Grazioso Rigamonti e Alberto Todeschini deportati e morti entrambi a Mauthausen.

Puecher agì sempre a stretto contatto con Franco Fucci, erano i comandanti, i due più decisi; l'ex- alpino in Grecia aveva aperto gli occhi sulla catastrofica realtà storico-politica del fascismo e aveva deciso di saltare il fosso. Le loro azioni s'indi­rizzarono all'inizio per dotarsi di mezzi per spostarsi rapidamente nella zona. Riuscirono ad avere un'Augusta, una Fiat e Fucci rubò a Milano una Topolino requisita dai tedeschi. L'11 settembre Fucci, con alcuni di Ponte Lambro, recupera due camion a Castelmarte e uno ad Arcellasco. Puecher fa un colpo al Crotto Rosa di Erba, ritrovo di alcuni borsaneristi, "confiscandogli" una buona quantità di ben­zina. A Merone e dintorni il 15 e il 17 , Fucci e Puecher recuperano quattro cavalli e sei muli abbandonati dall'esercito, affidandoli a contadini di Lambrugo. Viene poi il turno delle armi, recuperate a Bindella, a Erba e perfino a Cusano Milanino. Il materiale recuperato è portato prima a S. Salvatore, poi non ritenendo più il luogo sicuro, convogliato a Ponte Lambro.

L'attività del gruppo è rivolta poi a rifornire i nuclei partigiani della vicina mon­tagna. A questo proposito Francesco Magni nel suo libro di memorie, che è praticamente la storia della 55° brigata Rosselli, segnala un incontro che egli ebbe con Puecher il 24 ottobre 1943 a Lambrugo, appunto per intrecciare contatti più stretti fra montagna e pianura.

In novembre pare sia già in atto il salto di qualità del gruppo verso il combattimento. La relazione Morandi riporta un sabotaggio alle linee telefoniche tedesche nella zona di Canzo e Asso da parte del gruppo di Ponte Lambro. Il4 novembre, la scala del monumento ai caduti di Erba viene disseminata di volantini inneggianti alla Patria e alla libertà e una bandiera tricolore con il ricamo Patria e Libertà viene issata in cima.

Questo proto-nucleo partigiano destò l'interesse dei nascenti comandi milanesi, tanto che fu contattato verso la metà di ottobre da Giulio Alonzi, del Comitato militare clandestino di Milano in giro per rendersi conto delle forze ribelli in quel momento. Poi da Poldo Gasparotto e dal colonnello Morandi che stava cercando come già detto di tirare le fila del movimento nel lecchese; infine da un anonimo esponente comunista proveniente dall'Alfa Romeo. Si tratta con molta probabilità di Sabino Di Sibio, residente a Milano e operaio appunto dell'Alfa Romeo, sfollato nel comune comasco di Lipomo dove aveva dato aiuto a molti sbandati e dove aveva cercato di imbastire un'organizzazione resistenziale contattando i gruppi della zona compresi quelli di Erba. Le notizie a questo proposito apparirebbero sicure in quanto provenienti da appunti scoperti e requisiti dalla polizia fascista nel corso di una requisizione in casa del Di Sibio stesso, che nel frattempo si era reso irreperibile.

Questa attività di un personaggio di una famiglia molto nota, in una zona fatta di piccoli paesi, non poteva non attirare l'attenzione delle autorità fasciste che intanto si erano insediate nel comasco come in tutto il resto dell'Italia occupata. La cattura di Puecher e Fucci fu però abbastanza casuale. Tutto parte da un episodio poco chiaro, l'uccisione a Erba da parte di ignoti, del centurione della milizia e cassiere del Banco Ambrosiano di Erba, Ugo Pontiggia e dell'amico Angelo Pozzoli. Nella stessa serata del 12 novembre, Puecher e Fucci provenienti da Milano dove si erano recati per collegamenti e per finanziamenti, si erano portati a Canzo, nella villa dov'era sfollato l'ex-consigliere nazionale Alessandro Gorini che si dichiarava passato all'antifascismo. I motivi di quella visita sono diversi a secondo delle versioni ma comunque si trattava di ottenere aiuti per il movimento partigiano. I due non sapevano sicuramente niente dell'agguato mortale dei due fascisti, avrebbero potuto rimanere a dormire in un ambiente sicuro, invece verso le 22.30 preferirono ripartire in bicicletta sfidando il coprifuoco. Il loro bagaglio era certo compromettente, avevano in una borsa un tubo di gelatina e due manifestini di minaccia verso alcuni fascisti in vista. Nei pressi di Lezza, i due incontrarono una pattuglia di tre uomini (Fucci in una sua memoria parla di una dozzina). I militi li dichiararono in stato di fermo per violazione delle norme del coprifuoco e dissero che li avrebbero condotti al comando di Erba. A questo punto il fatto probabilmente decisivo: Fucci estrasse la pistola e premette il grilletto ma l'arma s'inceppò, in risposta a ciò il suo custode gli sparò a bruciapelo colpendolo al ventre. A questo punto uno rimase a piantonare il ferito e Giancarlo fu portato a Erba; era riuscito a gettar via la pistola e il materiale esplosivo era sulla bicicletta del Fucci. Puecher fu immediatamente inter­rogato e picchiato dai poliziotti fascisti. Fucci venne portato all'ospedale S. Anna di Como, mentre il fascista Airoldi, uno dei minacciati dai volantini partigiani, stendeva una lista di amici del Puecher che vennero arrestati la notte stessa. Se quel colpo fosse partito, se l'arma di Franco Fucci avesse sparato, buona parte della storia della Resistenza in quella zona sarebbe stata diversa.

A questo punto i destini dei due si separarono senza incontrarsi mai più. Mentre il Fucci rimarrà in prigione fino alla Liberazione peregrinando dal carcere di Como a quello di Vercelli e poi a S. Vittore, la sorte di Puecher fu molto più sfortunata. Ancora un episodio in cui egli non c'entrava niente segnò la sua fine: il 20 dicembre lo squadrista erbese Germano Frigerio venne ucciso in un agguato. I fascisti brancolavano nel buio e allora decisero di usare come capro espiatorio, ciò che avevano in mano. Puecher non aveva nulla a che fare con quell'uccisione, dato che da più di un mese si trovava in carcere. Ma, incredibilmente, venne montato a suo carico e di altri prigionieri, un processo al di là della farsa da un tribunale definito straordinario con l'elenco più completo delle irregolarità processuali che fosse possibile commettere. Ma la sentenza era stata emessa prima ancora d'iniziare: quattro dovevano morire. I difensori riuscirono a salvarne tre, uno, Giancarlo Puecher, fu destinato alla fucilazione, senza avere colpe per una misura così grave. Gli altri, Luigi Giudici, Giulio Testori, Silvio Gottardi, Giuseppe Cereda, Vittorio Testori e Rino Grossi ebbero pene detentive fra i 5 e i 30 anni.

L'atto finale dell'assassinio di Giancarlo Puecher si compì la notte del 21 dicembre, ad un muro del cimitero di Erba. Il cappellano che assistette all'esecuzione raccontò che il condannato abbracciò uno per uno i militi del plotone che l'avrebbero ucciso e morì gridando viva l'Italia.

Giancarlo Puecher Passavalli è la prima medaglia d'oro al valor militare della Resistenza.

Per capire l'assurdità di quel procedimento, è da riferire che nell'estate del 1944, a Brescia, il Guardasigilli della Rsi riconobbe la nullità del processo di Erba e l'arbitrarietà delle condanne, facendo con ciò liberare tutti gli imputati incarcerati.

La sete di vendetta fascista non si affievolì dopo quell'atto criminale. Il padre di Giancarlo, Giorgio Puecher, era stato anche lui arrestato con il figlio. Venne rimesso in libertà subito dopo l'esecuzione del 21 dicembre. Circa un mese e mezzo dopo però, venne nuovamente arrestato con la vaga accusa di opposizione politica e fu rinchiuso nel carcere milanese di S. Vittore. Trasferito poi a Fossoli, venne suc­cessivamente inviato a Mauthausen, dove morì per gli stenti e i maltrattamenti 1'8 aprile 1945.

L'ampio spazio dedicato al gruppo di Ponte Lambro ha molteplici motivazioni.

Sicuramente una è lo spessore morale e la combattività del suo trascinatore, Giancarlo Puecher, il cui nome sarà ripreso da ben quattro formazioni partigiane di diversa origine che si costituirono in seguito. Poi per ciò che rappresenta nell'evoluzione della Resistenza brianzola che stiamo osservando. Pur avendo effettuato azioni non ancora pesanti, questo è l'unico gruppo che riesce a passare, anche se purtroppo per poco, dalla fase cospirativa al confronto armato. Non osiamo pensare cosa sarebbe potuta diventare la Resistenza in questi luoghi se Puecher e Fucci avessero potuto agire ancora per un po’. Lo vedremo spesso in questo nostro percorso, la lotta per la libertà fu condotta comprensibilmente da una minoranza, anche se con il consenso di gran parte della popolazione, e spesso è un individuo particolarmente entusiasta, deciso e coraggioso ad essere determinante per la crescita della ribellione in una determinata zona.

(da ”La Resistenza in Brianza 1943 – 1945” di Pietro Arienti Ed.Bellavite 2006)

ultima lettera di Giancarlo Puecher Passavalli scritta prima di essere fucilato il 21 dicembre 1943

(da Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia:Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana)

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