8 maggio 1945: in Europa la guerra è finita
C'è una fotografia che ritrae dei bambini intenti a giocare con armi e proiettili sparsi sul terreno, nel cortile di un grande caseggiato. E' finita.
Nel bunker della Cancelleria, a Berlino, Hitler ha ucciso Eva Braun, poi si è sparato. Ha voluto che anche il suo cane prediletto, Blondi, venisse abbattuto. Poi, i camerati hanno bruciato i corpi di Adolf e della moglie.
La Repubblica di Salò non ha vissuto che diciotto mesi.
Mussolini non ha molte illusioni; confida al prefetto Nicoletti: «I tedeschi perdono sempre un'ora, una battaglia, un'idea». Il cardinale Schuster, che riceve Mussolini in Arcivescovado, lo descrive come «un uomo senza forza di volontà che muove incontro al suo fato senza reazione».
Alle 16.20 del 28 aprile, a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello arrugginito di una villa, cadono fucilati Benito Mussolini e la sua amante Clara Petacci, che ne ha voluto condividere il destino.
Il 7 maggio il Grande Reich firma l'atto di resa senza condizioni: al posto del Führer comanda l'ammiraglio Donitz, eletto suo successore.
A Berlino si contano cinquemila suicidi. Sono arrivati quelli dell'Armata Rossa e non guardano tanto per il sottile, ma dicono le donne che ricordano i terribili bombardamenti: «Meglio un russo sulla pancia che un americano sulla testa».
Il 6 agosto, gli americani sganciano la prima atomica su Hiroshima, tre giorni dopo tocca a Nagasaki: due lampi accecanti, che sviluppano una temperatura di milioni di gradi, diecimila volte più del sole.
Si contano le perdite: l'URSS raggiunge la cifra enorme di 37 milioni, di cui 12 sono i caduti. Più di settantamila città e villaggi risultano distrutti, 30 mila fabbriche sono in rovina, 25 milioni di persone sono senza casa.
Gli americani non arrivano, tra morti e dispersi, a 400 mila; i francesi, tra prima e dopo l'armistizio, 275 mila; gli inglesi 330 mila; l'Italia ha avuto, tra militari e civili, 309.453 morti e 135.070 dispersi. Le perdite tedesche sarebbero state di 2.250.000 caduti e di un milione e mezzo di dispersi. Il Giappone, tra feriti, dispersi e deceduti, circa 1.500.000 uomini; la Polonia oltre un milione di soldati uccisi, e cinque milioni di cittadini, dei quali tre sono ebrei.
L'Italia ha avuto tra militari e civili trecentocinquantamila morti e centotrentamila dispersi, settecento chilometri di ferrovia sono distrutti o danneggiati, ha perso un milione e novecentomila vani e più di diecimila tra ospedali, cinema, alberghi e teatri, più di quarantaduemila chilometri di strade sono impraticabili, 19 mila ponti risultano abbattuti, novecento dieci acquedotti non funzionano più. Mancano 28 mila chilometri di linee elettriche.
Secondo una stima americana, il costo totale della seconda guerra mondiale sarebbe stato di 1.154.000.000.000 di dollari, di cui 94.000.000.000 pagati da noi. Sono pochi i mutamenti territoriali: la Cecoslovacchia cede all'Unione Sovietica l’Ucraina Sub-carpatica, la Polonia raggiunge l’Oder Neisse, e divide la Prussia orientale con Mosca, alla quale cede una zona di confine, compresa Brest-Litovsk.
Un orologio di Hiroshima,
coi numeri quasi cancellati, fuso dal calore, e le lancette che segnano le 8.16.
Un marinaio a Manhattan, sulla Times Square, si butta su un'infermiera della Croce Rossa per baciarla, e celebrare così la sconfitta del Giappone.
Poi, una frase di Georges Bernanos, che vale per tutti i superstiti: «Ci sono tanti morti nella mia vita, ma più morto di tutti è il ragazzo che fui io».
Finita la guerra: i bambini giocano con i residuati bellici. Il progresso tecnologico non ha reso il conflitto meno feroce. E sembrato anzi che, insieme agli aerei velocissimi, all'atomica, ai missili, al radar sia stata la barbarie la protagonista su tutti i fronti.
Da “la Seconda guerra mondiale – Parlano i protagonisti” di Enzo Biagi – Corriere della Sera 1980
ATTO DI RESA MILITARE TEDESCA
Firmato a Reims alle ore 2:41 del 7 Maggio 1945
Noi sottoscritti, in virtù dell'autorità conferitaci dall'Alto Comando Tedesco, dichiariamo al Supremo Comando delle Forze di Spedizione Alleate e contemporaneamente all'Alto Comando Sovietico, la resa incondizionata di tutte le forze armate di terra, di mare e dell'aria che a questa data sono sotto il controllo Tedesco.
L'Alto Comando Tedesco invierà immediatamente a tutte le proprie autorità militari terrestri, navali ed aeree e a tutte le forze sotto il suo controllo, l'ordine di cessare ogni operazione militare attualmente in atto a partire dalle 23:01, ora dell'Europa Centrale, dell' 8 Maggio e di rimanere nelle posizioni in cui si trovano in quel momento. Nessuna nave dovrà essere deliberatamente affondata, né dovranno essere arrecati danni agli scafi, alle macchine o alle attrezzature di bordo e nessun aereo dovrà essere volontariamente distrutto o danneggiato.
L'Alto Comando Tedesco provvederà attraverso i propri Comandanti, ad assicurare che venga prontamente eseguito ogni ulteriore ordine impartito dal Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e dall'Alto Comando Sovietico.
Questo atto di resa militare potrà essere integrato da successive condizioni di resa globale da imporre alla Germania per conto delle Nazioni Unite.
Nel caso in cui l'Alto Comando Tedesco od ogni altra forza militare sotto il suo controllo non ottemperi a quanto stabilito da questo Atto di Resa, il Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e l'Alto Comando Sovietico adotteranno i provvedimenti che riterranno più opportuni.
Firmato a REIMS, in Francia, alle ore 02:41 del 7 Maggio 1945
In rappresentanza dell'Alto Comando Tedesco: Alfred JODL
ALLA PRESENZA DI:
In rappresentanza del Comando Supremo Alleato: Walter Bedell SMITH
In rappresentanza dell'Alto Comando Sovietico: Ivan SOUSLOPAROV
In qualità di Testimone: François SEVEZ (Generale dell'Esercito Francese)


La Resistenza non ha colore
Ufficiale medico sudafricano? Partigiano «negro-americano»? Yankee di origine africana? Tutti indizi veri, ma imprecisi: non era facile decifrare l’enigma del cadavere di un civile dalla pelle scura rinvenuto tra le vittime della strage nazista in Val di Fiemme, avvenuta a ostilità concluse il 2 maggio 1945. Chi era quel giovane «mulatto» sul cui corpo esanime vennero rinvenute le insegne dei prigionieri del campo di concentramento di Bolzano, come attestò Giuseppe Morandini, inviato sul luogo del massacro dal Comitato di Liberazione Nazionale?
Merita più di un racconto la vicenda di Giorgio Marincola, partigiano di colore della Resistenza: ne dà conto la densa biografia Razza partigiana (Iacobelli, pp. 174, euro 14,90), volume in cui due giovani storici – Carlo Costa e Lorenzo Teodonio – ricostruiscono tramite documenti d’archivio, riferimenti storiografici e testimonianze dirette la parabola di vita dell’unico partigiano «nero» d’Italia. Figlio di un italiano residente in Somalia, maresciallo di fanteria di stanza a Mahaddei Uen, 50 chilometri a nord di Mogadiscio, Giorgio nasce nel 1923 e ben presto dice addio all’Africa: a differenza di tanti altri commilitoni, infatti, il padre Giuseppe riconosce il pargolo avuto da una donna locale e porta con sé Giorgio e la sorella Isabella in patria nel 1926. Qui l’uomo si sposa con una sarda e i Marincola si stabiliscono a Roma, ma il piccolo Giorgio va dai nonni paterni a Pizzo Calabro dove riceve il soprannome di «Yo-yo». Rientrato a Roma per gli studi, frequenta il liceo Umberto I: qui subisce l’influsso di Pilo Albertelli, docente di filosofia, antifascista, che indirizza il giovane italo-somalo sulla via del dissenso al regime. Valore quanto mai sentito dal mulatto Marincola: le leggi razziali del 1938 impedivano i rapporti tra italiani e «sudditi dell’Africa orientale italiana», ovvero i somali, mentre una nuova norma del 1940 impediva il riconoscimento dei meticci da parte del genitore italiano, sbarrando la strada per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Albertelli, membro del Partito d’Azione, ispirò Marincola con abbondanti dosi di antifascismo liberale: leggeva Benedetto Croce, il giovane mulatto, e appuntava stringenti riflessioni sulla libertà politica: «La concezione liberale presuppone dei valori morali a base delle libertà politiche da essa richieste, quali la libertà di pensiero e di stampa, di discussione e di associazione. E quali valori morali che possano veramente far sviluppare e rendere degna della loro funzione le libertà sopracitate, noi crediamo essenziali l’onestà, la lealtà, il rispetto verso le istituzioni e le leggi dello Stato e verso il prossimo».
Proprio dall’educazione ricevuta sui banchi Marincola decise di entrare nelle file della Resistenza dopo l’ 8 settembre: si arruolò in una squadra di «Giustizia e Libertà» e partì per il Viterbese nel febbraio 1944 coi libri di medicina sottomano perché nel frattempo si era iscritto alla facoltà di Medicina: «Voleva ritornare in Somalia e lo studio gli serviva per apportare aiuto alle popolazioni di laggiù» , ricorda un compagno. Dopo la partecipazione all’azione partigiana nelle campagne laziali, Marincola venne ingaggiato dagli inglesi: con il nome di battaglia di Mercurio fu assoldato per la missione Bamon e paracadutato nelle campagne di Biella quale agente di collegamento con le truppe anglo-americane dirette a Nord. Il suo impegno fu così convincente che il capitano di Sua Maestà Jim Bell lo lodò così: «Era l’unico della Bamon che desiderava realmente fare qualcosa e non sprecare il suo tempo e denaro a divertirsi». Ferito in un assalto ad un reparto nazista, Marincola viene arrestato nel gennaio 1945 con il nome di Renato Mariano, quindi picchiato dai fascisti perché inneggiò alla Resistenza anche da prigioniero, durante una trasmissione di propaganda fascista cui fu costretto. Mandato a Torino e quindi a Bolzano, venne rinchiuso nel locale campo di concentramento che fungeva da smistamento verso la Germania. Il 30 aprile 1945 viene liberato ma si dirige verso la Val di Fiemme dove, arruolandosi ancora tra i partigiani, incappa nella furia nazista di Stramentizzo: il 4 maggio 1945 Giorgio il mulatto cade colpito alle spalle dai tedeschi in ritirata.
di Lorenzo Fazzini da Avvenire
nella foto Marincola (a destra) con un compagno d’armi
Operation Sunrise. La resa tedesca in Italia 2 maggio 1945
29 aprile 1945: a Caserta, le forze tedesche in Italia firmano segretamente la resa incondizionata, divenuta operante alle 14.00 del 2 maggio. Giunge così a conclusione l'operazione Sunrise, nome in codice delle lunghe trattative condotte in Svizzera tra l'OSS, il servizio segreto americano, diretto da Allen Dulles, e il comandante delle SS in Italia, Karl Wolff. È la prima capitolazione dell'esercito hitleriano, che segna la fine delle ostilità sul fronte italiano.
Si evitò così un'inutile resistenza finale lungo l'arco alpino e ulteriori distruzioni vennero risparmiate. I tesori della Galleria degli Uffizi, che erano stati trafugati dai nazisti, furono immediatamente recuperati e Ferruccio Parri, prigioniero della Gestapo, venne riconsegnato agli americani in Svizzera, sano e salvo, già nel marzo 1945. Ma fino all'ultimo l'esito dell'operazione (denominata in codice Sunrise, cioè «Alba») restò in bilico. Wolff, che aveva condotto il negoziato a Berna con l'agente dei servizi segreti americani (allora la sigla era OSS) e futuro direttore della Cia Allen Dulles, inizialmente non riuscì a convincere Kesselring e rischiò di essere arrestato e fucilato. Solo le notizie provenienti da Berlino, dove Hitler si era sparato il 30 aprile nel bunker della Cancelleria, sbloccarono la situazione e consentirono di attuare la resa firmato il giorno prima a Caserta da due emissari tedeschi.
Nel salone di palazzo Reale, Caserta, a sinistra i delegati tedeschi, di fronte l'estensore del verbale delle tre firme e l'interprete tedesco, a destra il Generale Morgan e alle sue spalle anche il Generale Kislenko (con gli stivali)

Angelo Arosio Genola, il primo Sindaco di Lissone dopo la Liberazione
Il 27 aprile 1945 i membri del Comitato di Liberazione di Lissone - Agostino Frisoni, Attilio Gelosa e Gaetano Cavina, si ritrovano in mattinata nel palazzo comunale per predisporre l'insediamento del Consiglio che, con i responsabili dei tre partiti, aveva delineato nella clandestinità.
Bisogna avvisare il nuovo sindaco, che non ne sa nulla.
In quel momento Angelo Genola è nell'orto della sua casa di Via San Martino che, dati i tempi, più che una passione è una necessità: arriva un delegato del partito, Giulio Meroni, e gli "ordina" di andar subito in Comune perché ci sono i democristiani con padre Zanchettin che gli devono parlare. Genola va e si trova di fronte alla scelta già operata dal C.L.N.: rifiuta, non si sente all'altezza, non ha alle spalle esperienze amministrative, non si considera un uomo d'azione, un politico, non ritiene di essere la persona giusta insomma. "Senta padre - si rivolge allo Zanchettin - io faccio la comunione tutti i giorni e mi creda se le dico che preferisco morire piuttosto che fare il sindaco domani." Il gesuita deciso e risoluto gli batte una mano sulla spalla: "Lei, invece, è l'uomo che cercavamo. Se lei è pronto a morire, faccia qualcosa di diverso e di meglio, faccia il sindaco. Se non lo farà lei - e qui il gesuita lo tocca sul vivo - non c'è alternativa: il sindaco sarà comunista." Interviene, ma in un'altra sede, anche don Gaffuri con una minaccia che è un ricatto morale: " Se non accetti, ti depenno dall'Azione Cattolica." Ma, crediamo, sia stata la sua limpida coscienza a decidere: prima si immagonisce e poi piange, ma accetta.
Discende da una famiglia lissonese di stampo antico, patriarcale e profondamente cattolica, gli Arosio Genola, che conduce in proprio una bottega di falegname. Nato nel 1891, a vent'anni appena di leva, è inviato in Turchia, in Macedonia per la precisione, in zona d'operazione; e di ritorno, senza poter usufruire del congedo, è subito spedito al fronte della Grande Guerra. Ferito gravemente, promosso sergente maggiore di fanteria, si distingue in un'azione vittoriosa tanto da venir promosso "aiutante di battaglia". Congedato, sposatosi più volte perché più volte rimasto amaramente e sfortunatamente vedovo, continua la professione paterna interpretandola, però, come un'espressione d'arte: per lungo tempo le sue opere saranno giudicate veri capolavori. Impegnato a tempo pieno nelle attività parrocchiali, ove emergono il suo senso dell'altruismo e della carità, è uomo di Azione Cattolica, Confratello del SS. Sacramento. Moderato, paziente, mite, corretto, antifascista da sempre, tra i primi ad essere chiamato da don Gaffuri per la ricostruzione del Partito Popolare, è sembrato al C.L.N. l'uomo giusto al momento giusto e si rivelerà l'uomo della Provvidenza.
Il giorno seguente, 28 aprile, Sindaco e giunta si presentano alla cittadinanza con questo proclama:
Lissonesi,
grazie alle forze della Liberazione e della Insurrezione si inizia per il nostro paese un nuovo ordine che vogliamo sia di Libertà e Giustizia.
Nell'assumere oggi per l'autorità del C.L.N. l'Amministrazione straordinaria del Comune, sentiamo il dovere di rivolgervi un saluto fraterno e amoroso.
Portiamo nel cuore i nostri soldati morti, mutilati, prigionieri, internati e reduci ed i lutti e dolori che vi affliggono con un vivo desiderio di operare per il bene di tutti.
Cittadini,
il compito è arduo, bando agli individuali risentimenti, collaborate alla restaurazione pronta e duratura delle rovine accumulate dalla disastrosa politica dittatoriale.
Certi della buona volontà dei Lissonesi e confidando nell'aiuto di Dio ci mettiamo al lavoro. Viva l'Italia, Viva la Libertà, Viva la Giustizia.
La sera del 3 maggio, il C.L.N. insedia ufficialmente la nuova Giunta Municipale, la cui composizione era stata decisa sin dalla riunione clandestina del 12 marzo. Per la scelta del sindaco i comunisti, superando la dura opposizione socialista, avevano comprensibilmente messo «il loro voto a disposizione dei democristiani, appellandosi alla situazione prefascista" e la scelta era caduta su Angelo Arosio, detto Genola. Vicesindaco fu nominato Giuseppe Crippa, comunista, e all'amministrazione andò Federico Costa, socialista. La Giunta fu completata da Mario Carnnasio (Dc) all' annonaria, Emilio Colombo (Psi) ai lavori pubblici e Giulio Meroni (Pci) all'assistenza, ai quali si aggiunse il ragionier Giulio Palma, rappresentante del Partito liberale, quale assessore supplente. Nando Vismara è un consigliere dell'Annonaria.
Gelosa tiene il discorso di insediamento: "Già in periodo cospirativo il C.L.N. aveva prescelto nelle vostre persone l'autorità che avrebbe dovuto reggere in stretta collaborazione col Comitato stesso le sorti del paese ...”. Iniziava la vita democratica di Lissone.
membri del CLN lissonese, componenti della Giunta e del Consiglio comunale (Maggio 1945)
In primo piano da sinistra:
Leonardo Vismara, Attilio Gelosa, Gaetano Cavina, Agostino Frisoni e Giuseppe Parravicini
in seconda fila al centro, il Sindaco ANGELO AROSIO
verbale di insediamento dell'Amministrazione comunale di Lissone - 3 Maggio 1945
manifesto del 3 maggio 1945 firmato dal Sindaco Angelo Arosio Genola
documento del 25 maggio 1945 recante la firma del Sindaco Angelo Arosio Genola
Bibliografia:
- Archivi Comunali
- “E questa fu la storia” di Silvano Lissoni – Arti Grafiche Meroni - Lissone 2005
Lissone durante la seconda guerra mondiale: 1945 (seconda parte)
Il 29 aprile i lissonesi si ritrovarono nella piazza centrale in occasione del passaggio di alcuni carri armati americani: le autorità cittadine civili e religiose avevano preso posto sulla balconata della Casa del Popolo (l'ex Casa del Fascio).
E il primo maggio 1945, in Piazza Libertà, in quei giorni chiamata Piazza Quattro Martiri a ricordo dei partigiani fucilati nel giugno 1944, si svolse una imponente “festa del lavoro”, la prima festa del lavoro dell’Italia libera, alla quale parteciparono in sfilata le formazioni partigiane oltre ai rappresentanti dei ricostituiti sindacati e dei partiti politici.
Primo maggio 1945: sfilata per la festa del lavoro
La sera del 3 maggio, il CLN insediò ufficialmente la nuova Giunta Municipale. Al sindaco Angelo Arosio si affiancava come vicesindaco Giuseppe Crippa, comunista, all'Amministrazione andò Federico Costa, socialista. La Giunta fu completata da Mario Camnasio (Dc) all'Annonaria, Emilio Colombo (Psi) ai Lavori Pubblici e Giulio Meroni (Pci) all'Assistenza, ai quali si aggiunse il ragionier Giulio Palma, rappresentante del Partito liberale, quale assessore supplente. Nando Vismara fu consigliere dell'Annonaria.
Il giorno dopo sui muri del paese veniva affisso un manifesto a firma del Sindaco con il seguente contenuto:
«Cittadini! Il regime scomparso ci ha lasciato in eredità rovine, lutti, miserie e una situazione alimentare estremamente disastrosa. Questa Amministrazione Comunale si propone di fronteggiarla e superarla; ma, per farlo, ha bisogno della Vostra cooperazione. Voi tutti, o Cittadini, dovete affiancare l’opera di questa Amministrazione per evitare che la gravità eccezionale del momento si trasformi in una calamità pubblica. Tutti coloro che, avendo avuto delle possibilità, posseggono oggi delle scorte di generi alimentari (frumento, granoturco, riso, farine, zucchero, olio, grassi, ecc.) devono conferirle in Comune, dietro pagamento, per il bisogno impellente della popolazione ...»
La situazione del paese era grave: la maggior parte della popolazione rischiava la fame e le casse comunali non erano certamente floride: notevoli erano state le spese sostenute dall'Amministrazione lissonese durante il periodo dell’occupazione tedesca.
Nei giorni seguenti la Liberazione, nonostante i ripetuti appelli alla calma lanciati dal Comitato di Liberazione Nazionale, la rabbia vendicativa, accumulata per mesi, trovò sfogo appena le circostanze lo consentirono. Seguì un mese di giustizia sommaria. Ragazzi di vent'anni o padri di famiglia pagarono con la vita la scelta di continuare a stare dalla parte di chi aveva elevato la violenza e l'efferatezza a sistema, di chi volontariamente e oggettivamente si era asservito ai nazisti divenendo corresponsabile del saccheggio del patrimonio nazionale, delle deportazioni, delle stragi, delle rappresaglie, delle torture, delle impiccagioni e delle fucilazioni.
Anche a Lissone la giustizia sommaria ebbe, nei giorni seguenti il 25 aprile, il suo tragico corso. Ne furono vittime:
Ennio Arzani, impiegato, di anni 29, Luciano Mori, geometra, segretario del Fascio di Lissone, di anni 45, Giuseppe Tempini, maresciallo dei Carabinieri in pensione, di anni 55, Guglielmo Mapelli, meccanico, di anni 37, Fausto Gislon, falegname, di anni 41.
* * *
La guerra aveva avuto un costo umano ed economico di notevoli proporzioni.
I numeri non hanno anima, ma quelli dei lager e della guerra contengono tutto il dolore dell’uomo.
L'Italia ha avuto, tra militari e civili, trecentocinquantamila morti e centotrentamila dispersi. Ottocentomila, tra operai e militari italiani, furono deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943.
Ai morti vanno aggiunte le distruzioni materiali, le devastazioni di incalcolabili ricchezze, di un immenso patrimonio creato dal lavoro e dalla intelligenza dell'uomo. Il Paese era da ricostruire: settecento chilometri di ferrovia distrutti o danneggiati, persi un milione e novecentomila vani, più di diecimila tra ospedali, cinema, alberghi e teatri. Oltre quarantaduemila chilometri di strade sono impraticabili. Diciannovemila ponti risultano abbattuti, novecento acquedotti non funzionano più. Mancano 28 mila chilometri di linee elettriche.
Il totale dell’immane carneficina che è stata la seconda guerra mondiale è spaventoso: oltre 55 milioni di morti, di cui 25 milioni di soldati e 30 milioni di civili.
Nei 12 anni di regime nazista furono sterminati nei campi di concentramento circa 6 milioni di ebrei. Gli internati furono, in totale, 7.500.000.
Molti paesi furono ridotti nella più completa rovina, con le città trasformate in un cumulo di macerie, le strutture economiche e le comunicazioni sconvolte, le popolazioni superstiti affamate.
La lotta contro il regime dittatoriale fascista e per la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista era costata la vita di tanti giovani che hanno scritto con il loro coraggio e perfino con il loro sangue una pagina tragica e magnifica della nostra storia.
La guerra di Liberazione è nata dalla confluenza di due elementi diversi: le correnti antifasciste che si erano opposte alla dittatura durante il ventennio e le masse popolari, in uniforme e non, il cui malcontento verso il fascismo si era manifestato in modo sempre più acuto nel corso della seconda guerra mondiale.
La guerra di Liberazione non scoppiò come una guerra tradizionale, con un atto formale, ma nacque come moto spontaneo.
Resistenti furono i militari italiani che combatterono a Cefalonia e che vennero trucidati dai nazisti, i militari che combatterono al fianco degli Alleati nel Corpo Italiano di Liberazione, gli oltre 600.000 soldati italiani che, rifiutando di combattere a fianco dei nazisti, finirono nei lager tedeschi.
Quarantacinquemila sono stati i partigiani italiani uccisi o caduti in combattimento.
Importante è stato il contributo delle donne: trentacinquemila sono state le donne partigiane.
Vent’anni di oppressione fascista sboccarono non in episodiche rivolte ma nel più grande movimento armato di massa dell’Europa occidentale.
Gli Alleati, che ebbero un peso determinante nella vittoria finale della guerra, al termine del conflitto hanno riconosciuto il grande contributo militare della Resistenza.
La parte migliore del popolo italiano aveva riconquistato, per tutta la Nazione, la dignità perduta dopo venti anni di regime fascista e tre anni di guerra al fianco di Hitler.
L’Italia è così diventata un paese democratico. Questi valori di democrazia e di rispetto della persona umana vennero sanciti nella Costituzione, promulgata nel 1948 e divenuta fondamento della nostra convivenza politica e civile.
* * *
Alle fronde dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Salvatore Quasimodo
erano le 16,30 del 28 aprile 1945 ...
Il 27 aprile 1945. Mussolini venne catturato a Dongo (Como). Aveva abbandonato Milano nel tardo pomeriggio del 25 aprile e, con gli ultimi fedelissimi e il codazzo di gerarchi in fuga, aveva raggiunto Como sotto la vincolante custodia di una trentina di SS.
Da Menaggio nella notte tra il 26 e il 27 aprile, si accodò con i suoi gerarchi ad una autocolonna della Luftwaffe che puntava su Chiavenna per raggiungere Merano attraverso il passo dello Stelvio.
La mattina seguente la colonna venne bloccata dai partigiani in quel di Musso, abbandonò il suo seguito, indossò un cappotto dell’aviazione tedesca e cercò di superare i controlli partigiani nascondendosi in un camion tedesco. Riconosciuto, venne fermato dai partigiani della 52ª brigata Garibaldi.
Il 28 aprile 1945 Walter Audisio ufficiale addetto al Comando generale del CVL, col nome di battaglia di "Colonnello Valerio", ricevette l’ordine di recarsi a Dongo, per eseguire la sentenza capitale decretata dal CVL nei confronti di Benito Mussolini, sulla base del decreto emesso, il 25 aprile 1945, dal CLN Alta Italia. L’art. 5 del decreto diceva: " I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo colpevoli di avere contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, d’aver distrutto le libertà popolari, creato il fascismo, compromessa e tradita la sorte del Paese e d’averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi meno gravi, con l’ergastolo".
Sull’esecuzione del capo del fascismo a Giulino di Mezzegra, il Colonnello Valerio ebbe a raccontare:
"… cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra Benito Mussolini: Per ordine del Comando generale del Corpo volontari della Libertà, sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano. ..”
25 Aprile 1945 - 25 Aprile 2025
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l'ANPI di Lissone propone il concerto multimediale " IL PREZZO DELLA LIBERTA' "
Domenica 27 aprile 2025 ore 17
BIBLIOTECA CIVICA DI LISSONE
Sala Polifunzionale - Piazza IV Novembre
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Così scrivono nel loro sito quelli del LISTONE, lista civica di Lissone a proposito del concerto:
Domenica 27 aprile, in occasione dell’80° anniversario della Festa della Liberazione, la sezione ANPI di Lissone, con il patrocinio del Comune, ha organizzato un evento speciale presso la Biblioteca Comunale: un concerto multimediale a cura di Maurizio Padovan a cui il pubblico ha risposto con entusiasmo, riempiendo ogni posto disponibile.
La sala era gremita, con volti attenti e partecipi. Tra i presenti, anche alcuni esponenti della politica locale. Per l’Amministrazione comunale è intervenuto il vicesindaco Oscar Bonafè, l’unico rappresentante della maggioranza che ha risposto all’accorato appello di partecipazione fatto della sindaca il 25 aprile, al termine del suo intervento in piazza Libertà.
Il cuore della serata è stato l’intenso racconto di Maurizio Padovan, musicista, storico e direttore dell’Accademia Viscontea, che ha guidato il pubblico con una narrazione appassionata e coinvolgente. Attraverso il suono del suo violino, immagini d’epoca, documenti e parole, Padovan ha fatto rivivere storie e musiche della Resistenza, offrendo uno sguardo originale e toccante su un periodo che ha segnato profondamente la nostra storia.
La sua ricerca ha riportato alla luce pagine poco conosciute della canzone italiana durante il fascismo: censure, repressioni, ma anche piccole e coraggiose ribellioni sonore. Tra queste, le Canzoni della Fronda, brani apparentemente innocui come “Crapa pelata”, o “Maramao perché sei morto” che, per la loro ambiguità, venivano interpretati in chiave satirica per prendere in giro il regime. Padovan ne ha eseguiti alcuni, raccontando storie, aneddoti e contesti, andando ben oltre la musica e toccando le corde più profonde della memoria collettiva.
Particolarmente emozionanti i momenti dedicati a giovani violinisti partigiani, spesso vittime di deportazioni o fucilazioni. Una delle storie più toccanti è stata quella di Luigi Freddi, impiccato a soli 18 anni. Il suo violino, incredibilmente, è stato ritrovato molti anni dopo, nel 2012, tra le macerie del terremoto in Emilia: un simbolo potente di ciò che resta, e resiste, nel tempo.
Durante la serata, più volte il pubblico ha manifestato un commosso apprezzamento, con lunghi applausi e un silenzio carico di ascolto. In tanti hanno lasciato la sala con la sensazione di aver vissuto qualcosa di raro, che è andato ben oltre ogni aspettativa.
Un grande grazie a Maurizio Padovan per aver regalato alla città un momento di così alto valore umano e culturale. E con l’augurio, condiviso da molti, che non sia l’ultimo: il suo repertorio è vasto, e abbiamo tutti bisogno di eventi come questo
Lissone 80mo anniversario della Liberazione
Alcuni momenti della celebrazione in città
Gli interventi:
Giuseppe Valtorta a nome dell'A.N.C.R. Associazione Nazionale Combattenti e Reduci
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Mariuccia Brusa per A.N.P.I Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
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e il Sindaco di Lissone Laura Borella
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il discorso di Giuseppe Valtorta, Vicepresidente dell'A.N.C.R. di Lissone
Il discorso di Mariuccia Brusa per A.N.P.I Lissone
6 APRILE 2025 SANTA MARGHERITA DI FOSSA LUPARA
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alcuni momenti della cerimonia in onore dei caduti delle valli tra cui il lissonese ARTURO AROSIO
Discorso di Pierangelo Stucchi presidente dell'ANPI di Lissone