Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Dall’«Ordine Nuovo» alla fondazione dell’ ”Unità”

12 Décembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana

Il biennio rosso 1919-20 è vissuto dal gruppo ordinovista in questo fervore di lavoro di massa. Il «laboratorio sociale» si trasforma presto in un terreno infuocato di scontro di classe attorno alla questione del potere in fabbrica. Gli imprenditori non intendono certo perderlo o dividerlo con i Consigli e passano all'offensiva: serrata, sciopero generale nella primavera del 1920, conflitti aspri il cui esito mostra quanto le nuove istituzioni siano sentite e difese dalle masse ma anche quanto il fronte operaio di Torino resti isolato nazionalmente. Maturano rapidamente le condizioni per un nuovo più generale conflitto, quello dell'occupazione delle fabbriche, nel settembre del 1920, che si conclude con una sconfitta politica del movimento operaio. È questo anche il momento in cui Gramsci, assai scettico sull'opportunità dell'occupazione, si impegna più direttamente nella lotta interna al PSI. Il gruppo Ordinovista è confortato dal giudizio favorevole che Lenin al II Congresso dell'Internazionale a Mosca ha dato delle sue posizioni, e quando viene sul tappeto la questione dell'espulsione o meno dei riformisti dal partito, Gramsci si accosta alla frazione di estrema Sinistra capeggiata dalla vigorosa personalità dell'ingegnere napoletano Amadeo Bordiga. Nasce nel novembre 1920 la frazione comunista e l'«Ordine Nuovo», col 1° gennaio 1921, si trasforma in quotidiano diretto da Gramsci. Poche settimane dopo, a Livorno, si attua la scissione da cui esce il Partito comunista d'Italia: Gramsci è eletto nel primo comitato centrale del nuovo partito, senza contestare la leadership di Bordiga anche se non ne condivide le rigidità dottrinarie e il formalismo.

L Ordine Nuovo 

Per il direttore dell'«Ordine Nuovo» quotidiano si riaprono, per tutto il 1921 e una parte del 1922, mesi di intenso lavoro, di violenta polemica nel confronti di quel partito socialista che egli sferza come «circo Barnum» per le sue incertezze e la sua composita ispirazione politico-ideologica. E cominciano anche i «tempi di ferro e fuoco». Il Partito comunista, nato con il proposito di guidare il processo rivoluzionario, si trova investito in pieno, come tutto il socialismo del resto, dall'ondata di reazione che cresce, dalla violenza delle squadre fasciste. Esso si tempra nella lotta ma i problemi a cui è di fronte sono ben diversi da quelli previsti o sperati. «Fummo - ricorderà lo stesso Gramsci - travolti dagli avvenimenti, fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della società italiana, diventata un crogiolo incandescente, dove tutte le tradizioni, tutte le formazioni storiche, tutte le idee prevalenti si fondevano qualche volta senza residuo ... Dovemmo trasformare, nell'atto stesso della loro costituzione, del loro arruolamento, i nostri gruppi in distaccamenti per la guerriglia, la più atroce e difficile guerriglia che mai classe operaia abbia dovuto combattere. Si riuscì tuttavia; il partito fu costituito e fortemente costituito; esso è una falange d'acciaio».

Analizzare e contrastare, in quelle condizioni, il fenomeno del fascismo è l'impegno più urgente a cui il direttore dell'«Ordine Nuovo» si adopera, denunziandone sia la matrice piccoloborghese che la risultante reazionaria, tentando di opporsi anche all'estremismo della direzione comunista, dominata da Bordiga. Gramsci fa, ora e nei due anni successivi, un po' parte per se stesso. È difficile collocarlo esattamente in una gerarchia che si concepisca con l'esperienza e la tradizione successiva. L'uomo non è ancora noto come un capo nel partito. Il suo prestigio intellettuale, la sua autorità morale sono notevoli, grandi presso quei compagni che hanno lavorato con lui (ma che si disperdono nel 1922 come nucleo politico a sé). Ma la sua penna tagliente incute rispetto agli avversari e ammirazione nei lettori del giornale a cui dedica tutto il suo tempo. Ma anche al II Congresso del PCI a Roma nel marzo del 1922, Gramsci, nonostante abbia molte riserve da fare sulla linea ufficiale, su una prospettiva che esclude un colpo di Stato reazionario, non dà battaglia.

Dalla fine di maggio 1922 egli è inviato a Mosca come delegato del PCI presso il comitato esecutivo dell'Internazionale .. Parte in non buona salute in una situazione di rapporti difficili tra il PCI e l'Internazionale, provato dalle fatiche di quattro-cinque anni d'intensa attività politica e giornalistica. Tra l'estate e l'autunno viene ricoverato in una casa di cura, nei pressi di Mosca. Il riposo, la pausa, sono anche un momento nuovo nella vita privata del trentenne rivoluzionario italiano. Si innamora di una giovane musicista russa, Julca (Giulia) Schucht, e presto si unisce a lei: è un sentimento di una tenerezza che lo stupisce. «La mia vita - scrive Antonio a Giulia durante l'idillio - è stata sempre una pianura fredda, uno sterpeto. Come ho potuto dirle che le voglio bene?» Ma quando saranno costretti a separarsi per la prima volta, all'inizio del 1924, le scriverà da Vienna: «Cara tu devi venire. Ho bisogno di te. Non posso stare senza di te. Tu sei una parte di me stesso e sento che non posso stare lontano da me stesso. Sono come sospeso in aria, come lontano dalla realtà. Penso sempre, con un rimpianto infinito, al tempo che abbiamo trascorso insieme in tanta intimità, in una così dolce espansione di noi stessi».

Il periodo moscovita (estate 1922 - fine 1923) è anche un periodo di espansione politica per Gramsci, a contatto con un ambiente quale quello del Komintern che è ancora di viva dialettica politica e ideologica. Fa diretta esperienza dei problemi della Nep in un paese come la giovane repubblica dei soviet, studia e confronta le posizioni teoriche di Lenin e dei più prestigiosi rappresentanti dello stato maggiore del partito bolscevico, da Trotzki a Stalin, da Bucharin a Zinoviev. Anche lo stacco dall'Italia gli consente di scorgere meglio i limiti e gli errori del primo estremismo che ha permeato la condotta politica del gruppo dirigente. Queste riflessioni prendono una direzione polemica via via più netta, col crescere del dissenso tra quel gruppo dirigente e l'orientamento dell'Internazionale che è favorevole a un fronte unico proletario contro il fascismo e alla fusione tra socialisti e comunisti. In una serie di lettere che manda da Mosca e poi nel primi mesi del 1924 da Vienna (dove lavora a un nuovo ufficio del Komintern avvicinandosi all'Italia) ai suoi vecchi collaboratori (Togliatti, Terracini, Scoccimarro, Leonetti) Gramsci sostiene la necessità di staccarsi da Bordiga, dal suo metodo di direzione, dalle sue direttive politiche per formare un gruppo dirigente che riesca a impostare correttamente una strategia politica basata sull'alleanza tra operai del Nord e contadini poveri del Sud, che lavori a una riunificazione con quei socialisti che sono rimasti «terzinternazionalisti», che trasformi il partito in una espressione più diretta dei lavoratori, fondandosi sulle cellule di fabbrica. Questo è anche il senso della lotta interna che Gramsci dà non appena torna in Italia, eletto deputato in una circoscrizione del Veneto, nell'aprile del 1924, questo il contributo di idee e di organizzazione che porta alla nascita di un nuovo quotidiano del partito, «l'Unità».

 

Prima pagina di alcuni numeri di "L'Unità" del 1924

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