Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

In memoria di Donata Rignanese, "la bambina che raccoglieva le olive"

15 Septembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

Donata Rignanese
Donata Rignanese

Tante/i amici e compagne/i hanno partecipato ieri 15 settembre 2010 alle esequie della cara Donata, colpita da grave malattia , una notizia “annunciata” ma che ci ha colpito comunque duramente. Donata era nativa di Vieste, apparteneva ad una umile famiglia e come tanti altri giovani del sud, era partita per cercare proprio in Lombardia agli inizi degli anni ’60 un futuro migliore con un lavoro dignitoso, un’occupazione sicura che desse sicurezza, una casa e qualche sogno. Da bambina nella sua terra, presto aveva dovuto lasciare i banchi di scuola per aiutare la famiglia, lavorando nella campagna con la raccolta delle olive, conoscendo subito le asperità della vita e di quella realtà, dove comandavano incontrastati i “caporali” e i prepotenti. Ma nonostante ciò il ricordo di quei luoghi le accendeva lo sguardo, il mare, le colline, il verde degli ulivi,i colori, i profumi, la pesca e tante altre cose.

Arrivò così a Sesto San Giovanni, una grande città industriale in pieno sviluppo e alla fabbrica della Magneti Marelli, un mondo lavorativo nuovo e sconosciuto. Un inserimento non facile, ma vissuto bene da una persona che amava conoscere la novità, la manualità, la concretezza dello svolgersi lavorativo, un intuito nel guardare “avanti” rispetto ai propri compiti. Nella città si vivevano le difficoltà comuni a tanti immigrati nel trovare casa, di intessere rapporti sociali, di culture differenti e tanti altri problemi, ma la conoscenza di molteplici aspetti mai conosciuti rispetto al piccolo paese erano talmente tante da sopire in parte i problemi.

Per sostenere il bilancio famigliare oltre a svolgere il lavoro di operaia, si impegnava come commessa in una farmacia. Divenne una delle prime rappresentanti sindacali donna della Fiom-CGIL nel consiglio di fabbrica partecipando attivamente a tutte le battaglie sindacali del ’68, per il diritto al lavoro delle donne e per le pari opportunità, si spese per diritti quali gli asili nido, i consultori famigliari, conquiste civili come il divorzio e la legge 194, sensibile alle tematiche in difesa della Pace, per l’istruzione anche per i lavoratori come l’istituzione delle 150 ore. Si iscrisse al PCI, condividendone gli ideali e partecipando come attivista nelle politiche sostenute da quel partito. Si iscrisse in seguito ai Democratici di Sinistra e al Partito Democratico proprio qui a Lissone, era componente del direttivo dell’ANPI della nostra città, una adesione maturata negli anni della fabbrica e dalle vicissitudini tormentate di quegli anni, dove la democrazia del nostro Paese correva rischi di caduta. Da ultimo era iscritta allo SPI CGIL partecipando alle attività del sindacato.

Lasciata la Magneti, la bambina che raccoglieva le olive, si trasformò in donna di impresa, grazie ad un innato buongusto, alla facilità di imparare in fretta, alla gentilezza, alla capacità di ingegnarsi nel lavoro manuale aprendo un negozio di pelletteria di successo. In quella vita comunque di sacrificio e lavoro mai, nonostante le difficoltà, venne meno l’attenzione e l’affetto verso la famiglia ed i figli.

Le sue attività lavorative e l’impegno sociale, il carattere aperto, generoso, le fecero acquisire tante amicizie protrattesi fino all’altro giorno, compresi noi di Lissone. Un luogo che viveva con difficoltà abituata al fermento culturale e sociale di Sesto, una difficoltà alleviata dall’amicizia, dove lei era partecipe non solo nei momenti felici, ma se occorreva aiuto esso poteva manifestarsi anche nel cuore della notte. Spesso si crucciava date le sue vicissitudini, di non avere potuto studiare, di non esprimersi in modo forbito, di leggere male. Veniva rincuorata di buon grado, anche perché molte sono le doti che suppliscono a queste carenze poiché sincerità, coraggio, curiosità possono valere a mille. Una curiosità, una sete di cultura che la portava a concerti o alle rappresentazioni teatrali, alle mostre di pittura, alla voglia di conoscere popoli lontani, culture diverse, aperta all’incontro con persone di provenienza migrante, la conoscenza di città e luoghi nuovi.

Certo noi amici conoscevamo già il suo carattere forte ed indomabile, ma la riprova è stata la tenacia nel combattere fino all’ultimo una malattia dolorosa, nel cercare di abbarbicarsi alla vita comunque, fino all’ultimo.

Ognuno di noi conserva un proprio ricordo, nell’amicizia o nella militanza a sostegno delle proprie idee nella comunità, di tante manifestazioni, gite, dove la sua presenza si faceva sentire.

Qui nella corte dove ha sede l’ANPI e la CGIL, sono rimasti due ulivi regalatici da lei qualche anno fa, cercheremo di custodirli con cura. Un ricordo tangibile a testimonianza del suo amore per la natura ed un dono a noi tutti dettato dalla gentilezza e generosità di una persona forte e sensibile che non dimenticheremo.

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8 settembre 1943 - 8 settembre 2010: dedicato agli Internati Militari Italiani in Germania

8 Septembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

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Oltre 600.000 furono i militari Italiani che dopo l’8 settembre 1943 finirono nei lager nazisti, per quel “NO” che dissero quando “con lusinghe e minacce” fu chiesto loro “di riprendere le armi per il Grande Reich e poi per la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini”.

 

 

Lo Stato italiano ha iniziato la distribuzione di medaglie agli IMI in segno di riconoscimento.



Martedì 7 settembre 2010, con una cerimonia svoltasi in prefettura, il Prefetto di Milano ha consegnato una medaglia d’onore alla memoria di familiari, per la deportazione o l’internamento nei lager nazisti, ai seguenti lissonesi:

 

Cogliati Adele, per il padre Luigi, catturato il 9 settembre 1943;

Erba Giovanna, per il marito Umberto Viganò, deportato politico, arrestato alla Pirelli e internato in Germania il 23 novembre 1944 in seguito ad uno sciopero;

Fossati Franca, per il marito Renzo Mauri, internato militare, catturato il 9 settembre 1943;

Pellizzoni Renato, per il padre Arnaldo, internato militare, catturato il 10 settembre 1943;

Rovati Erminia, per il marito Libero Foglieni, deportato politico, arrestato nel settembre 1944, e internato in un campo di rieducazione nel lager di Auschwitz;

Tremolada Mirca, per il padre Carlo, internato militare, catturato il 16 settembre 1943.

 

I sei lissonesi catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, quando il Governo italiano aveva chiesto la resa incondizionata delle sue forze armate e aveva firmato l'armistizio con gli Alleati, furono trasportati come prigionieri in Germania in diversi lager e vennero impiegati e sfruttati come forza lavoro nelle fabbriche del Reich. Tornarono in Italia solamente dopo la loro liberazione da parte degli Alleati al termine della seconda guerra mondiale.

 

medaglia 2 medaglia 1

una delle medaglie consegnate dal Prefetto di Milano

 

medaglia a Fossati Franca familiari con medaglie

 

Alcuni dei lissonesi che hanno ricevuto la medaglia d’onore

 

* * *

 

Gerard Schreiber, ufficiale della Marina tedesca, ha dedicato un libro ai militari italiani nei lager nazisti intitolato “I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943–1945 Traditi - Disprezzati – Dimenticati”.

 

Questi tre aggettivi sono i più appropriati per descrivere la situazione in cui si sono trovati i 600.000 italiani dopo l’8 settembre 1943.

  

Per troppo tempo anche in patria sono stati dimenticati. Sono stati inoltre vittime di una beffa da parte della Repubblica Federale Tedesca per il mancato risarcimento: nel 2000, infatti, era stata creata in Germania la Fondazione “Memoria, responsabilità e futuro”, finalizzata a compensare le vittime dei lager. Sembrava che la Repubblica Federale Tedesca volesse riconoscere così anche formalmente la responsabilità politica e morale della Germania nei confronti delle vittime del nazismo. Ma il Governo tedesco si è rifiutato di accettare la maggior parte delle domande dei lavoratori forzati che dopo l’8 settembre 1943 sono stati deportati come Internati Militari Italiani per il lavoro nell’industria bellica, con il pretesto che gli IMI erano prigionieri di guerra e come tali tenuti al lavoro.

 

Ormai pochi sono i reduci italiani ultraottuagenari ancora viventi (meno di 90.000)!

E se questa marea di 600.000 “NO” fosse stata invece di 600.000 “SI”, che storia d’Italia si sarebbe poi scritta? Certo, gli Alleati avrebbero vinta ugualmente la guerra, con la loro supremazia di mezzi e di uomini, ma quanto si sarebbe prolungata e con quali implicazioni.

 

schiavi di Hitler 

Gli “schiavi di Hitler”, così sono stati definiti, avevano poco più di vent’anni, erano sparsi per mezza Europa, cintati da filo spinato, sottoposti a fame, malattie, schiavitù, violenza, minaccia delle armi e al lavoro forzato: 50.000 morirono…

«… i militari rinchiusi nei campi di prigionia nazisti, nel rifiutare ogni forma di collaborazione con la Repubblica Sociale Italiana e con il Terzo Reich, attuarono anche loro, sia pure senza l’uso delle armi, una forma di resistenza …»

La prigionia nei lager tedeschi va considerata parte integrante della resistenza antifascista e si iscrive a pieno titolo nella storia della Resistenza che ebbe molte forme: quella operata dagli intellettuali e da uomini politici (che si opposero alla dittatura fascista, assassinati  o imprigionati per diversi anni o mandati al confino o costretti a rifugiarsi all’estero), quella degli operai in sciopero nelle fabbriche, quella dei partigiani sulle montagne; resistenti furono anche i civili che li aiutarono, i militari che si schierarono con il Regno del Sud.

Ha detto l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: “Quella che a me piace chiamare la Resistenza allargata […] si manifestò in quella sorta di plebiscito, di prima votazione libera degli italiani […] che fecero le centinaia di migliaia di nostri militari deportati nei campi di concentramento tedeschi, preferendo, a schiacciante maggioranza, una durissima prigionia, che costò a molti di loro la vita, pur di mantenere fede al giuramento prestato.” 

Anche Nuto Revelli, scrittore-partigiano, così si espresse sulla vicenda dei militari italiani internati: “la prigionia nei lager tedeschi è una pagina della Resistenza almeno nobile ed eroica quanto la nostra guerra di liberazione”.

Per diversi anni, perfino all’interno delle famiglie, le tristi esperienze vissute nei lager furono un argomento di cui era meglio non parlare. Un deportato italiano così diceva: “raccontare poco non era giusto, raccontare il vero non si era creduti, allora ho evitato di raccontare, sono stato prigioniero e bon, dicevo …” .

La definizione Internati Militari Italiani fu decisa da Hitler il 20 Settembre 1943: per questo i 600.000 italiani non furono tutelati dagli accordi internazionali sui prigionieri di guerra e vennero così sottratti al controllo della Croce Rossa Internazionale. A loro fu riservato un trattamento peggiore che a qualsiasi altra persona catturata in guerra.

Da non molto la storiografia ha incominciato ad occuparsi degli Internati Militari Italiani; per troppo tempo sono stati ignorati anche dallo Stato italiano, ma ben venga, anche se tardivo, questo riconoscimento.

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