Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Lo Statuto albertino

31 Mars 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #L'ITALIA tra Ottocento e Novecento

frontespizio-Statuto-Albertino.jpg 

 

Lo Statuto albertino, nato nel 1848 come Costituzione del Regno di Sardegna, divenne nel 1861 la prima Costituzione dell'Italia unita. Queste le sue principali previsioni:

 

·         l'Italia è una monarchia costituzionale. Il re è titolare del potere esecutivo ed esercita, insieme alle Camere, quello legislativo. Per quanto riguarda il primo, è sua la facoltà di nominare e revocare i ministri. Per quanto riguarda il secondo, il re ha il potere di sanzionare e promulgare le leggi approvate dal Parlamento. Senza sanzione e promulgazione del re, una legge, anche se approvata dal Parlamento, non può entrare in vigore;

·         il Parlamento è formato da due Camere: la Camera dei deputati, eletta a suffragio censitario da una parte del popolo, e il Senato, nominato direttamente dal re;

·         a tutti i cittadini vengono riconosciuti alcuni importanti diritti: uguaglianza giuridica, libertà individuale, libertà di domicilio, libertà di stampa, libertà di riunione, diritto di proprietà.

 

È vero che, mentre la formulazione astratta degli articoli sembra riconoscere indistintamente a tutti questi diritti, la realtà concreta era ben diversa. La legge, infatti, non era il prodotto di un Parlamento eletto a suffragio universale e perciò rappresentativo degli interessi e degli orientamenti di tutte le classi sociali presenti in Italia. In questo modo i diritti non avevano un significato davvero universale, ma classista. Ciò non toglie l'importanza del riconoscimento formale dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

È fondamentale ricordare che lo Statuto albertino era una costituzione flessibile. Come sappiamo, questo significa che esso poteva essere modificato attraverso delle semplici leggi ordinarie, secondo le esigenze politiche del sovrano e della maggioranza di governo. Proprio questa flessibilità permise ai fascisti di cancellare i diritti previsti dallo Statuto lasciandolo formalmente immutato.

 

Bibliografia:

Mauro Albera e Giovanni Missaglia – Professione cittadino – Ed. Hoepli Milano 2008

Lire la suite

Le radici della Costituzione italiana

28 Mars 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #La COSTITUZIONE italiana

Un testamento di centomila morti: con questa tragica e bellissima espressione, di Piero Calamandrei, insigne giurista esponente del Partito d'Azione e membro dell'Assemblea Costituente, ha definito la Costituzione della Repubblica italiana. Rivolgendosi a un pubblico di studenti universitari, il 26 gennaio del 1955, Calamandrei pronunciò, tra le altre, le seguenti parole:

Ora vedete, io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione, c'è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: sono tutti sfociati qui, negli articoli. Ed a saper intendere, dietro questi articoli si sentono delle voci lontane.

Quando leggo nell'articolo 2 "L'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" o quando leggo nell'articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli", "la patria italiana in mezzo alle altre patrie", ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini.

O quando leggo nell'articolo 8 "Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge", ma questo è Cavour! O quando leggo nell'articolo 5 "La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali", ma questo è Cattaneo! O quando nell'articolo 52 leggo, a proposito delle forze armate, "L'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica ", l'esercito di popolo, ma questo è Garibaldi! O quando leggo all'articolo 27 "Non è ammessa la pena di morte", ma questo, studenti milanesi, è Beccaria!! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, voi giovani dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità; andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.

 

Le riflessioni di Calamandrei sono un'introduzione ideale alla storia della Costituzione italiana. I riferimenti a Beccaria, a Mazzini, a Garibaldi, a Cavour e a Cattaneo esprimono bene il radicamento della nostra Costituzione nella tradizione della migliore intellettualità italiana e nell'opera dei protagonisti del nostro Risorgimento che portò, nel 1861, alla nascita dell'Italia unita.

 

Il riferimento ai partigiani, alle migliaia di morti caduti nella Resistenza, richiama, invece, la radice più immediata e vicina della Costituzione: l'antifascismo e la lotta partigiana. Se non si tiene presente che questa è l'origine della nostra Carta costituzionale, non se ne può capire nulla e, soprattutto, non se ne può apprezzare il valore civile.

 

Bibliografia:

Mauro Albera e Giovanni Missaglia – Professione cittadino – Ed. Hoepli Milano 2008

 

 

 

 DE-NICOLA-firma-la-Costituzione.jpg  firma-Costituzione.jpg

 

De Nicola e Terracini firmano la Costituzione Italiana

Lire la suite

L'identità nazionale

24 Mars 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo

Le conseguenze della dittatura fascista e della seconda guerra mondiale sull'identità italiana.

 

Dopo un secolo e mezzo di storia nazionale, il problema di ridefinire i tratti distintivi dell'identità italiana è tornato in primo piano.

Quali fattori costituiscono ai giorni nostri il cemento del nostro Stato unitario? Che cosa ci fa sentire italiani? In verità non è da oggi che ci si domanda se gli italiani si sentano effettivamente partecipi di una comunità nazionale, identificandosi con la storia, le memorie, la cultura del loro paese. Non da oggi ci si chiede se l'Italia sia un vero Stato e una vera nazione, e quali siano i suoi valori fondanti. Non c'è dubbio che il ritardo della nostra unificazione nazionale, rispetto ad altri paesi europei, e il modo con cui essa avvenne per iniziativa di alcune minoranze politiche più attive e consapevoli, abbiano lasciato il segno. Giacché si trattò più di un' annessione territoriale e sociale. Sicché, fatta l'Italia, rimaneva da fare gli italiani, come dicevano Massimo D'Azeglio e tanti patrioti con lui.

Oltretutto, a rendere più difficile quest'impresa stavano non solo le profonde differenze economiche, di leggi e di costumi, fra le varie contrade d'Italia. C'era di mezzo anche l'opposizione della Chiesa allo Stato liberale sorto dalle lotte del Risorgimento, nonché la carica sovversiva delle plebi più diseredate che costituivano la maggior parte della popolazione.

 

Il regime fascista, bloccando il pur faticoso percorso del paese verso un sistema di democrazia liberale, non solo mise al bando della vita pubblica una parte degli italiani, ma impose una concezione dei princìpi e degli interessi nazionali che avevano a che fare con un'aggressiva politica di potenza e un'ideologia imperialistica, di superiorità verso altri popoli. Inoltre, il fascismo finì per fagocitare le istituzioni nell'ambito di uno Stato totalitario e per irreggimentare ogni aspetto della vita collettiva nelle maglie di un ordinamento autoritario e cesarista. Fu dunque un consenso estorto, o comunque pianificato dall'alto, quello su cui si basò la nazionalizzazione delle masse nel ventennio mussoliniano.

 

La guerra in cui il regime fascista precipitò il paese nel 1940, conclusasi con una pesante disfatta militare, non solo annullò d'un colpo molti dei risultati conseguiti fra mille difficoltà dalle precedenti generazioni, ma determinò anche una grave crisi d'identità. Insieme alla disgregazione delle strutture dello Stato, vennero infatti allentandosi i reciproci legami fra le varie parti della penisola a causa dell'estrema diversità delle esperienze vissute dopo l'armistizio del settembre 1943 dalle popolazioni nei territori del sud lasciati dagli anglo-americani, dove aveva trovato rifugio la Monarchia insieme al governo Badoglio, e in quelli del centro-nord sotto il dominio nazifascista.

  

Ma a creare un solco profondo e lacerante fra gli italiani fu soprattutto la lunga e sanguinosa guerra fra la Repubblica di Salò, ultima incarnazione del regime fascista, e le forze antifasciste della Resistenza impegnatesi nella lotta armata contro l'occupante tedesco. Unitamente a questa spaccatura, s'era andata determinando un'altra scissione, quella dovuta al disimpegno di una massa consistente della popolazione restia quando non del tutto refrattaria, a schierarsi per una delle due parti. Era travolta da una guerra il cui fronte risaliva lentamente l'intera penisola, e si sentiva estranea non solo alle mire degli eserciti contrapposti, ma anche e soprattutto all'universo, alle ideologie tanto dell'una che dell'altra fazione italiana. O perché preoccupata della propria integrità per le eventuali conseguenze di una precisa scelta di campo. Insomma, una sorta di "zona grigia", vasta e multiforme, diffusa per lo più tra la piccola e media borghesia, ma anche in alcuni ambienti intellettuali, il cui attendismo politico e psicologico si sarebbe sciolto soltanto negli ultimi mesi di guerra, in coincidenza con il ripiegamento dalla "linea gotica" dei tedeschi, travolti dall'avanzata degli alleati e con lo sbandamento delle forze ancora fedeli a Mussolini.

All'indomani della lotta di liberazione nazionale e del ritorno dell'Italia alla democrazia, Benedetto Croce e Gaetano Salvemini, i più autorevoli eredi della tradizione risorgimentale (nelle sue due componenti, quella moderata e quella progressista), ritenevano che sarebbe spettato in primo luogo alle élite (come era avvenuto ai tempi dell'unificazione nazionale) illuminare e guidare il cammino dell'Italia sulla via della rinascita, in ragione di un forte senso di responsabilità e di un'alta ispirazione civile e morale. Ma in quel drammatico frangente, a imporsi sulla scena furono i partiti popolari di massa (n.d.r. la Democrazia Cristiana, i partiti Comunista e Socialista), gli unici soggetti che potessero assicurare la più ampia mobilitazione politica e sociale necessaria ad affrontare la situazione d'emergenza in cui versava la penisola.

 

Da un articolo di Valerio Castronovo pubblicato in “Storie d’Italia dall’unità al 2000”

Lire la suite

17 marzo 1861 - 17 marzo 2011

4 Mars 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #varia

AUGURI  ITALIA 

 

17 marzo 2011

 

"Fratelli d'Italia"

 

I simboli più significativi della nostra identità di Nazione, come il “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli, esprimono l’anelito di unità e di libertà di un popolo. Attraverso questo filo, dal Risorgimento alla Repubblica, si è costruita la comune identità di valori che il nostro popolo custodisce e garantisce con le sue Istituzioni. Anche di questo è fatta l’identità di una Nazione: il sentirsi Nazione nel mondo, riconosciuta e rispettata.

Giorgio Napolitano

Presidente della Repubblica

 

  inno mameli I parte inno-mameli-II-parte.jpg

 

Lire la suite

Indignatevi!

3 Mars 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza europea

Dal libro Indignez vous! di Stéphane Hessel

 

Il motivo base della Resistenza era l’indignazione. Noi, veterani dei movimenti di resistenza e delle forze combattenti della France libre, noi ci appelliamo alle giovani generazioni perché facciano vivere, trasmettano l’eredità della Resistenza e dei suoi ideali. Noi diciamo loro: dateci il cambio, indignatevi. I responsabili della politica, dell’economia, gli intellettuali e l’insieme della società non devono scoraggiarsi, non devono lasciarsi impressionare dall’attuale dittatura internazionale dei mercati finanziari che minacciano la pace e la democrazia.

...

Le basi delle conquiste sociali della Resistenza sono oggi messe nuovamente in discussione.

...

Ma come può oggi mancare il denaro per mantenere e prolungare queste conquiste quando la produzione della ricchezze è considerevolmente aumentata dopo la Liberazione, periodo nel quale l’Europa è stata distrutta? Se non perché il potere del denaro così combattuto dalla Resistenza, non è mai stato tanto grande, insolente, egoista, con i suoi servitori fino alle più alte sfere dello Stato. Le banche ormai privatizzate si mostrano dapprima preoccupate dei loro dividendi e degli alti stipendi dei loro dirigenti, niente per l’interesse generale. Le differenza tra i più poveri e i più ricchi non è mai stata così grande e la corsa al denaro, alla competizione altrettanto incoraggiate.

...

L’indifferenza è il peggior atteggiamento.

È vero, le ragioni per indignarsi possono apparire meno nette oggi in un mondo troppo complesso. Chi comanda, chi decide. Non è facile distinguere tutte le correnti che ci governano ... Viviamo in una interconnettività che non è mai esistita. Ma nel mondo ci sono delle cose insopportabili. Per vederle, occorre ben osservare, cercare. Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire «non posso farci niente» ... Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali dell’essere umano. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignarsi e l’impegno che ne è la conseguenza.

Si possono già identificare due grandi nuove sfide:

1)    La grandissima differenza che esiste tra i molto poveri e i molto ricchi e che non cessa di ridursi. È una delle novità del XX e del XXI secolo. Coloro che sono molto poveri, oggi guadagnano appena due dollari al giorno. Non si può lasciar crescere ancora questa differenza. Solo questa constatazione deve suscitare un impegno.

2)    I diritti dell’uomo e lo stato del pianeta ...

Auguro a tutti, a ciascuno di voi, di avere il vostro motivo di indignazione. È prezioso. Quando qualcosa vi indigna, come io ero indignato per il nazismo, allora si diventa militanti, forti ed impegnati. Ci si unisce a questa corrente della storia e la grande corrente della storia deve proseguire con il contributo di ciascuno. E questa corrente va verso più giustizia, più libertà ...

Questi diritti, sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948 a Parigi.

Cito l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza»; l’articolo 22: « Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonchè alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità. ...

Ai giovani dico: guardatevi intorno, troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione - il trattamento riservato agli immigrati, ai clandestini, ai Rom.

Troverete delle situazioni concrete che vi porteranno ad iniziare un‘azione forte ... Cercate e le troverete! ...

 

Stéphane Hessel

stéphan hesselHa 93 anni. È nato a Berlino nel 1917, da padre ebreo scrittore, traduttore, Franz Hessel, e da madre pittrice, appassionata di lirica, Helen Grund, anche lei scrittrice. I suoi genitori si stabiliscono a Parigi, nel 1924, con i due figli, Ulrich, il maggiore, e Stéphane.

Stéphane frequenta la Scuola Normale, ma la guerra interrompe i suoi studi. Naturalizzato francese nel 1937, e mobilitato allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel maggio 1941, raggiunge la France libre del Generale De Gaulle, a Londra. Lavora nell’Ufficio del controspionaggio. A fine marzo 1944, sbarca clandestinamente in Francia incaricato di una missione in vista dello sbarco alleato. Il 10 luglio 1944 viene arrestato a Parigi dalla Gestapo ed inviato a Buchenwald, l’8 agosto 1944, pochi giorni prima della liberazione di Parigi.

Il giorno prima di essere impiccato, riesce a cambiare la sua identità con quella di un francese moro di tifo nel campo di concentramento. Con il nuovo nome viene trasferito nel campo di Rottleberode, vicino ad una fabbrica dove atterrano i bombardieri tedeschi, gli Junker 52, ma fortunatamente viene impiegato come contabile. Evade. Ripreso viene internato a Dora dove si fabbricano le V-1 e le V-2, questi missili con i quali i nazisti sperano ancora di vincere la guerra. Affidato alla compagnia disciplinare, fugge nuovamente quando ormai le truppe alleate si avvicinano al lager di Dora. Infine ritrova a Parigi la moglie Vitia, madre dei suoi tre figli, due maschi e una femmina.

 

Il libro di Stéphane Hessel è stato tradotto anche in italiano

Lire la suite