L’artiglieria dell'altoparlante
La funzione della trasmissioni radio durante la guerra di Spagna (17 luglio 1936 – 1 aprile 1939)
Durante la guerra di Spagna, gli antifascisti cominciano ad avere a disposizione, sin dall'inizio, un'arma (quella che Vittorio Vidali chiamerà «l’artiglieria dell'altoparlante»: la radio. Fino a quel momento, in Italia, le trasmissioni radiofoniche erano state soltanto monopolio del regime fascista e anche un suo potente mezzo di corruzione di massa.
Da Radio Barcellona, da Radio Madrid, Radio Valenza si possono captare in Italia le voci dell'antifascismo, in trasmissioni speciali in lingua italiana (il PCI avrà poi, sino alla fine della guerra, la possibilità di utilizzare una sua radio trasmittente da cui manda anche direttive ai propri seguaci clandestini in Italia).
Ha scritto Elio Vittorini: «Quanto si poteva afferrare tendendo l’udito di dentro alla cuffia di un apparecchio a galena, verso le prime voci non fasciste, che finalmente giunsero fino a noi. Madrid, Barcellona ... Ogni operaio che non fosse un ubriacone e ogni intellettuale che avesse le scarpe rotte, passarono curvi sulla radio a galena ogni loro sera, cercando nella pioggia che cadeva sull'Italia, ogni notte, dopo ogni sera, le colline illuminate di quei due nomi. Ora sentivamo che nell’offeso mondo si poteva essere fuori della servitù e in armi contro di essa».
Da Radio Barcellona, il 13 novembre 1936, Carlo Rosselli lancia lo slogan che può sintetizzare la prospettiva comune del volontariato antifascista italiano in Spagna: «Alla Spagna proletaria tutti i nostri pensieri. Per la Spagna proletaria tutto il nostro aiuto. Oggi in Spagna. Domani in Italia. Anzi, oggi stesso in Italia, perché l’esempio dei fratelli spagnoli può e deve essere seguìto. Gioventù d’Italia, sveglia! Antifascisti italiani, sveglia! Uomini liberi, in piedi!».
A partire dal giugno-luglio del 1937, la stampa di regime ammette sempre più chiaramente che l'Italia è impegnata in Spagna con un proprio contingente.
Dalle emittenti radio della repubblica spagnola ogni sera gli antifascisti - dopo più di dieci anni di silenzio - riescono a parlare al popolo italiano. Vi è la Radio di Stato della repubblica che ha numerose trasmissioni da Madrid e da Valenza in lingue estere. Vi è la radio Generalitat a Barcellona. Vi è infine una emittente, «Radio Milano», che trasmette da Aranjues vicino a Madrid, tutte le sere intorno alle 23,45, che è esclusivamente dei comunisti italiani. A giudicare dalla massa enorme di lavoro che essa dà alla polizia italiana, si direbbe che l'ascolto é diffusissimo e ha una importanza nonché un rilievo psicologico e politico notevole. Gli antifascisti italiani dunque esistono, parlano dell'Italia e del resto del mondo, si battono: ecco ciò che scoprono per la prima molti italiani.
La voce che giunge dalla Spagna (e spesso disturbatissima) non si sa quanto incida sulle coscienze. Si tenga presente anche che l'apparecchio radio è ancora un lusso per le masse più povere e diseredate. Ma, appunto, le denunce della polizia e la stessa ripresa di azioni squadristiche su vasta scala per reprimere o intimidire quanti osano sintonizzare il proprio apparecchio sulla lunghezza d'onde di Radio Milano ne danno un quadro vivissimo. Si apprende che l'ascolto spesso non é individuale o familiare ma spesso viene organizzato, nel retrobottega di un locale pubblico, in una sala di caffé, chiuse le saracinesche verso la mezzanotte, persino in circoli Dopolavoro o della Opera nazionale combattenti. Il che mostra certo una notevole dose di imprudenza (é in questi casi che la sorpresa, la retata degli agenti di PS o dei militi fascisti, la delazione di un finto antifascista, sortiscono i migliori risultati), ma denota nondimeno un bisogno di testimonianza in comune oltre che una sete di informazioni inestinguibile. In qualche caso, la polizia riferirà che all'inizio e alla fine delle trasmissioni, quando risuonano le note dell'inno di Garibaldi e dell'Internazionale, gli ascoltatori si alzano in piedi e salutano con il pugno chiuso.
Non c’é solo solo la curiosità di sentire l'altra campana, di venire a sapere quanto la stampa fascista tace o deforma. C’è anche l’ansia di tanti congiunti di avere qualche notizia del figlio o del marito spedito in Spagna da Mussolini (dopo la battaglia di Guadalajara per settimane si trasmettono messaggi, testimonianze dirette dei prigionieri italiani).
Infatti, i «legionari» italiani, al comando del generale Roatta - dai primi trentamila arriveranno a cinquantamila - erano truppe il cui carattere di volontari è quanto mai discutibile; spesso si trattava di soldati mandati in Spagna a loro insaputa, reclutati per formare «battaglioni lavoratori» nell’impero africano da colonizzare.
La battaglia di Guadalajara del marzo 1937 ha una grande eco internazionale. Celebri restano, tra tutte, le corrispondenze di Ernest Hemingway, che aveva conosciuto i combattenti italiani sul fronte della prima guerra mondiale. Hemingway scrive dopo la battaglia, vedendo i caduti fascisti: «Il caldo dà lo stesso aspetto a tutti i morti, ma questi morti italiani con le loro facce grige, di cera, se ne stanno stesi sulla pioggia, molto piccoli e pietosi ... Il generale Franco scopre adesso che non può fare molto conto sugli italiani, non perché gli italiani siano vili, ma perché gli italiani i quali difendono il Piave e il Grappa sono una cosa e gli italiani mandati a combattere in Spagna mentre credevano di andare in guarnigione in Etiopia sono un’altra».
E parlando da Radio Madrid, il 27 marzo 1937, della fuga dei legionari di Mussolini, Randolfo Pacciardi, repubblicano, comandante del battaglione “Garibaldi”, dice: «Sono scappati non perché sono vigliacchi. Sono scappati perché avevano tanks, cannoni, mitragliatrici, fucili, moschetti, ma non avevano idee. Non si combatte per il piacere di combattere».
La battaglia di Guadalajara é stata il culmine della partecipazione dei garibaldini italiani alla guerra di Spagna.
Guadalajara: un volontario antifascista si rivolge col megafono alle truppe di Mussolini durante una sosta della battaglia. All’invito di passare nelle file repubblicane risponderanno positivamente molti “volontari” fascisti.
Nel marzo del 1937 (dopo Guadalajara) il capo della polizia Bocchini così telegrafa ai prefetti del regno: «Viene rilevato come molti ascoltatori radio cerchino di ascoltare iniqua et falsa propaganda radiodiffusa da Barcellona aut da altre stazioni spagnole nonché da Mosca. A tale scopo cercano anche di riunirsi in comitiva presso apparecchi riceventi di casa aut locali pubblici. Fenomeno est particolarmente osservabile presso operai, contadini, piccola borghesia. Est necessario in modo assoluto intervenire prontamente et energicamente con azioni preventive et repressive procedendo a fermi, a provvedimenti di polizia, a chiusura dei pubblici esercizi dove viene effettuata ascoltazione et a ritiro degli apparecchi in caso di flagranza. Vorranno all'uopo predisporre servizi et ricorrere ove sia necessario anche servizio di fiduciari. Si gradirà al riguardo sollecita segnalazione di ogni emergenza».
La prevenzione e la repressione auspicate da Bocchini si sviluppano largamente. Spesso vengono intercettate lettere inviate dall'Italia all’indirizzo di Radio Barcellona nelle quali si formulano elogi oppure richieste di spostare l'ora della trasmissione.
Le trasmissioni, da quel che possiamo arguire attraverso i resoconti registrati dalla polizia italiana, sono efficaci giacché risultano trattati temi che concernono direttamente la guerra di Spagna (notizie sulle battaglie, sullo schieramento internazionale, sulle denunce alla Società delle Nazioni, sull'afflusso di nuove truppe fasciste) sia argomenti che riguardano la vita delle masse popolari italiane. E qui si parla dell'aumento dei prezzi che in effetti è notevole nel 1937 e annulla i vantaggi del generale aumento dei salari e degli stipendi agli impiegati, delle condizioni di vita dei contadini e degli operai, dei profitti delle grandi aziende. E si insiste sulla crescente sudditanza dell’Italia alla Germania nazista.
Bibliografia:
Paolo Spriano - Storia del Partito comunista italiano – Einaudi 1970