Testimonianza di Lino Liverani, il partigiano «Colli»
9 Décembre 2012 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #Resistenza italiana
Testimonianza di Lino Liverani «Colli»
Brisighella (Ravenna), 1927
partigiano, XXXVI Brigata Garibaldi Alessandro Bianconcini, Appennino imolese-faentino
La formazione intanto si ingrandiva sempre più. Affluivano senza sosta nuovi compagni e veri e propri flussi di arrivi caratterizzarono i mesi estivi del '44.
Era un via vai continuo, motivo di soddisfazione ma anche fonte di preoccupazione, perché in larga parte si trattava di persone sprovviste di armamento a cui si doveva provvedere non solo all'inquadramento abituale, ma pure alla dotazione di un' arma in tempi brevi.
Le possibilità di fornirci di armi verteva su tre possibilità: sottrarle al nemico dopo un combattimento; farsele consegnare dagli occupanti nemici di caserme; farcele paracadutare a mezzo di aeroplani alleati tramite appositi e concordati lanci.
Le prime due soluzioni comportavano rischi altissimi che spesso si traducevano in perdite di vite, pur essendo praticate abitualmente.
Il rifornimento a mezzo di lanci aerei da parte delle truppe alleate poteva diventare fattibile solo seguendo certe direttive, direttive che presupponevano contatti con il centro alleato di Bari a mezzo della notissima Radio Londra.
Una volta ottenuta l'autorizzazione da parte del comando alleato s'aspettava che la parola d'ordine fosse ripetuta nella serie dei comunicati serali che facevano da chiusura ai commenti ai fatti del giorno da parte del colonnello Stevens.
Una sera giunse finalmente il segnale convenuto. «I prati sono fioriti».
La comunicazione mise in avviso il comando e tutta l'organizzazione, creando un' attesa spasmodica. I parlottii fitti divennero la costante di quei giorni d'attesa e già si prefiguravano le casse e i colli appesi ai paracadute con le immagini più suggestive. .
Squadre di dieci compagni ebbero il compito di accendere i fuochi e alimentarli continuamente con fascine di legna per determinare l'area di lancio cui indirizzare i paracadute. I fuochi erano costituiti da pile di legna e arbusti di facile combustione, chiaramente visibili dal cielo. L'area aveva una dimensione triangolare con una lunghezza di circa trecento metri e una larghezza nella parte più ampia di circa duecento metri fino a restringersi a punta.
Il rischio di venire scoperti dal nemico c'era. La nostra speranza era la notte, quando difficilmente ci avrebbero attaccato. Noi eravamo perfetti conoscitori delle zone e del terreno operativo e quindi un attacco diretto gli avrebbe sicuramente causato diverse perdite. Potevano effettuare attacchi a distanza con cannoneggiamento e mortai, e talvolta accadeva, ma probabilmente il risultato non sarebbe stato adeguato al dispendio di energie necessarie per effettuare l'azione.
La terza sera di attesa, alle 9.30 circa, ecco in lontananza un rumore tenue di aeroplano che aumenta sempre più.
Scatta il dispositivo. Si alimentarono immediatamente i fuochi e le fiamme si alzano rigogliose. L'apparecchio, a fari spenti, sta per entrare nella zona di lancio e appena intravede i fuochi con i faretti di coda rossi fa due segnali consecutivi.
L'intesa è stabilita.
Due giri di virata per scendere al massimo e avvicinarsi al terreno.
Seguimmo le evoluzioni con animo partecipe, ancora un sorvolo e poi un'infinità di ombrelli che s'aprono e ondeggiano sopra le nostre teste. Bisognava aguzzare al massimo i sensi per evitare di non essere colpiti. L'apparecchio si allontana un po', poi vira nuovamente per riportarsi planando sulle nostre teste, e ancora una pioggia di paracadute s'aprirono e fluttuarono leggeri nell' aria.
Fu uno spettacolo che ci dette entusiasmo e ci regalò momenti di gioia in periodi in cui non era facile essere allegri.
Altra virata con annessa planata: il pilota era bravo e maneggiava l'aereo con vera perizia. Ancora un apparire di ombrelloni ondeggianti, poi luci rosse intermittenti di coda a significare che l'operazione era terminata.
Due segnali di luci vicine erano il saluto che il pilota ci mandava.
Iniziava l'operazione di raccolta. Le squadre preposte si buttarono con grande slancio. Ne facevo parte anch'io.
Solo il recupero dei colli e il trasportarli era una fatica del diavolo.
Si trattava anche di pesi valutabili intorno ai centosessanta, cento settanta chili non facilmente trasportabili, soprattutto i cilindri d'acciaio per la forma caratteristica a siluro. Per quelli caduti più lontano dal posto di raduno era una fatica improba.
Alle tre del mattino l'operazione era quasi terminata.
Iniziò quindi l'operazione di apertura dei colli.
Il clima generale era di grande euforia e di grande attesa. I contenitori a cassetta erano colmi di robe varie: indumenti, scarpe e alimenti, tra cui anche marmellate e burro in grossi pani. I contenitori di metallo contenevano armi, munizioni, esplosivi al plastico.
È appena il caso di dire che i materiali pervenuti non erano della quantità da noi desiderata per quanto concerne le armi e le munizioni. Si sarebbe riusciti ad armare forse un paio di compagnie di nuova formazione, integrando l'armamento a un altro paio, ma non avremmo mai coperto il fabbisogno occorrente di tutti.
Pazienza: bisognerà attingere ai metodi classici finora usati, e cioè sottrarli al nemico.
Rimanevano in disparte due cassette di forma particolare, quasi dimenticate nella foga di aprire le casse dei più grandi. Eravamo curiosi di scoprirne il contenuto, anche perché erano stranamente leggere di peso a dispetto delle altre.
All'interno c'erano dei rotoli di carta di una forma a noi sconosciuta. Qualcuno azzardò l'ipotesi che si trattasse di materiali per effettuare segnalazioni visive dall'alto, qualcun altro disse che poteva trattarsi di carta da scrivere per usi particolari. Eravamo tutti un po' perplessi.
Un compagno, fino ad allora rimasto in disparte si avvicinò e ci guardò sorridendo.
- Ma non vedete che è carta igienica?!
Risatina di qualcuno lontano, ma la maggioranza restò in silenzio. Non capivamo:
- Serve per pulirsi il sedere!
E subito la risata fu grande. Per tantissimi di noi si trattò della prima volta che venivamo a contatto con tale accessorio.
Da quel momento la carta igienica per me rappresentò qualcosa di peculiare, legata indissolubilmente a un ricordo particolare, piacevole ma anche tragico.
Allora ci chiedemmo: possibile che tra infinite cose necessarie la carta igienica avesse un ruolo così rilevante, per gli inglesi? Stupisce anche in relazione ai luoghi, in mezzo a montagne e boschi, nostre dimore abituali.
Dimenticammo presto queste domande. Altri e più importanti pensieri si ponevano alle attenzioni delle nostre menti. Come occultare i paracadute affinché non cadessero nelle mani del nemico?
Si decise di tagliarli e darli in parti proporzionali ai vari contadini delle nostre zone che coabitavano con noi e che prestavano ogni attenzione ai nostri bisogni.
Finalmente le loro donne avrebbero avuto indumenti di seta.
Bibliografia:
Stefano Faure, Andrea Liparoto, Giacomo Papi - Io sono l'ultimo. Lettere di partigiani italiani - Einaudi 2012
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