per il GIORNO della MEMORIA 2017, il ricordo dei deportati militari italiani nei campi nazisti
Ha scritto Brunello Mantelli in un articolo inserito nel catalogo della mostra “TRA PIÙ FUOCHI. LA STORIA DEGLI INTERNATI MILITARI ITALIANI 1943-1945”, inaugurata a Berlino:
«L'ingresso ufficiale della prigionia degli IMI nel calendario istituzionale della Repubblica è avvenuto con la legge del 20 luglio 2000, n. 211, che approvata in precedenza dal Parlamento e pubblicata il 31 seguente dalla Gazzetta Ufficiale, istitituiva, fissandolo al 27 gennaio, il “Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Al di là della positività indiscutibile dell’iniziativa, la sua stessa intitolazione richiama l’ambiguità costitutiva del ruolo svolto dall’Italia nella Seconda guerra mondiale e nel ventennio precedente, allorché il paese fu governato dal regime fascista. Si commemora assieme, infatti, ciò che l'Italia ha fatto (la persecuzione antiebraica iniziata nel 1938 poi radicalizzatasi) e ciò che l'Italia ha subito (la deportazione politica e l’internamento militare). Siamo tuttora fermi lì».
Concordo pienamente con lui.
Renato Pellizzoni
Legge 20 luglio 2000, n. 211
"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.
In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.
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In occasione del "Giorno della Memoria", quest’anno desidero ricordare i deportati militari italiani nei campi nazisti e in particolare alcuni internati militari lissonesi le cui vicissitudini mi sono state raccontate, nel tempo, direttamente da loro o che ho conosciuto attraverso i documenti conservati dai loro familiari.
Furono deportati in Germania per essere impiegati come lavoratori coatti nelle fabbriche del Reich. Le loro storie sono raccolte nel nostro sito:
Lambrughi, Mazzola, Parma e Pellizzoni, benché profondamente provati fisicamente e moralmente sono riusciti a tornare dalla Germania, mentre Cassanmagnago e Fumagalli sono morti, rispettivamente nei lager di Dachau e di Salza.
Oltre 600.000 furono i militari Italiani che dopo l’8 settembre 1943 finirono nei lager nazisti, per quel “NO” che dissero quando “con lusinghe e minacce” fu chiesto loro “di riprendere le armi per il Grande Reich e poi per la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini”. Gerard Schreiber, ufficiale della Marina tedesca, ha dedicato un libro ai militari italiani nei lager nazisti intitolato “I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943–1945 Traditi - Disprezzati – Dimenticati”. Questi tre aggettivi sono i più appropriati per descrivere la situazione in cui si sono trovati i 600.000 italiani dopo l’8 settembre 1943.
Gli "schiavi di Hitler", così sono stati definiti, avevano poco più di vent’anni, erano sparsi per mezza Europa, cintati da filo spinato, sottoposti a fame, malattie, schiavitù, violenza, minaccia delle armi e al lavoro forzato: 50.000 morirono…
«… i militari rinchiusi nei campi di prigionia nazisti, nel rifiutare ogni forma di collaborazione con la Repubblica Sociale Italiana e con il Terzo Reich, attuarono anche loro, sia pure senza l’uso delle armi, una forma di resistenza …»
La prigionia nei lager tedeschi va considerata parte integrante della resistenza antifascista e si iscrive a pieno titolo nella storia della Resistenza che ebbe molte forme: quella operata dagli intellettuali e da uomini politici (che si opposero alla dittatura fascista, assassinati o imprigionati per diversi anni o mandati al confino o costretti a rifugiarsi all’estero), quella degli operai in sciopero nelle fabbriche, quella dei partigiani sulle montagne; resistenti furono anche i civili che li aiutarono, i militari che si schierarono con il Regno del Sud.
Ha detto l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: “Quella che a me piace chiamare la Resistenza allargata […] si manifestò in quella sorta di plebiscito, di prima votazione libera degli italiani […] che fecero le centinaia di migliaia di nostri militari deportati nei campi di concentramento tedeschi, preferendo, a schiacciante maggioranza, una durissima prigionia, che costò a molti di loro la vita, pur di mantenere fede al giuramento prestato.”
Anche Nuto Revelli, scrittore-partigiano, così si espresse sulla vicenda dei militari italiani internati: “la prigionia nei lager tedeschi è una pagina della Resistenza almeno nobile ed eroica quanto la nostra guerra di liberazione”.
Per diversi anni, perfino all’interno delle famiglie, le tristi esperienze vissute nei lager furono un argomento di cui era meglio non parlare. Un deportato italiano così diceva: “raccontare poco non era giusto, raccontare il vero non si era creduti, allora ho evitato di raccontare, sono stato prigioniero e bon, dicevo …” .
La definizione Internati Militari Italiani fu decisa da Hitler il 20 Settembre 1943: per questo i 600.000 italiani non furono tutelati dagli accordi internazionali sui prigionieri di guerra e vennero così sottratti al controllo della Croce Rossa Internazionale. A loro fu riservato un trattamento peggiore che a qualsiasi altra persona catturata in guerra.
Da non molto la storiografia ha incominciato ad occuparsi degli Internati Militari Italiani; per troppo tempo sono stati ignorati anche dallo Stato italiano.
Gli internati hanno ottenuto come riconoscimento dallo Stato italiano la Croce al Merito di guerra per la detenzione nei campi nazisti (D.P.R. 8 settembre 1949),
il distintivo d’Onore dei Volontari della Libertà con legge del 1° dicembre 1977 n.344
e recentemente la Medaglia d’Onore con legge del 27 dicembre 2006 n.296.
Sia in Italia che in Germania il riconoscimento per la sorte degli internati militari é arrivato molto tardi. La stragrande maggioranza degli internati militari italiani non ha ricevuto fino ad oggi alcun indennizzo da parte tedesca.
Cronaca dei risarcimenti negati
27 febbraio 1953: Accordo di Londra sui debiti esteri germanici
Le rivendicazioni di indennità e risarcimenti nei confronti della Repubblica Federale Tedesca da parte di ex lavoratori coatti e detenuti dei campi di concentramento con cittadinanza straniera vengono rimandate a un futuro trattato di pace.
Giugno 1956: Legge federale sul risarcimento alle vittime della persecuzione nazista
Nessun pagamento agli ex lavoratori coatti e prigionieri di guerra stranieri.
2 giugno 1961: Accordo globale italo-tedesco
La Repubblica Federale Tedesca versa 40 milioni di marchi (circa 20 milioni di euro) a titolo di risarcimento per i perseguitati del regime nazista. Agli ex internati militari non spetta niente.
2 agosto 2000: Legge per l'istituzione della fondazione "Memoria, Responsabilità e Futuro" (EVZ)
La Repubblica Federale Tedesca e l'industria tedesca mettono a disposizione 10 miliardi di marchi (circa 5 miliardi di euro) per il risarcimento agli ex lavoratori coatti e ai deportati
27 novembre 2001: "Informazione" del governo federale in merito all'esclusione degli internati militari dai risarcimenti della EVZ
Il governo federale segue le indicazioni di una perizia che, nonostante il loro passaggio allo status di civili nel 1944, considera gli internati militari come prigionieri di guerra. Come tali sono esclusi dai risarcimenti della EVZ. La maggior parte delle circa 130.000 richieste italiane viene respinta.
11 marzo 2004: Sentenza della Corte di Cassazione italiana
La Repubblica Federale Tedesca è condannata al risarcimento dei lavoratori coatti italiani. Per i risarcimenti agli ex internati questa sentenza rimane senza seguito.
20 giugno 2008:gravi dichiarazioni del ministro degli Esteri Frattini sugli schiavi di Hitler nel corso della sua visita a Berlino.
Ferma presa di posizione del Prof. Valter Merazzi, responsabile del Centro di Ricerca Schiavi di Hitler/Fondo Imi Claudio Sommaruga, delegato del Coordinamento degli enti e associazioni per il risarcimento del lavoro coatto presso l’Oim di Ginevra.
2012: Sentenza della Corte europea di giustizia dell'Aia
La Corte non ammette le cause civili di cittadini stranieri e pertanto nemmeno quelle di cittadini italiani contro la Repubblica Federale Tedesca.
2012: Costituzione di un Fondo italo-tedesco per il futuro
Il Ministero degli Affari Esteri tedesco costituisce un Fondo per il Futuro per finanziare progetti della memoria. Non sono previsti risarcimenti.
20 maggio 2015: Delibera del governo federale per il risarcimento di ex prigionieri di guerra sovietici
Per gli ex internati militari italiani non si prospetta alcun risarcimento.
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In Italia a Cernobbio (CO), ha sede il “Centro Studi Schiavi di Hitler”.
Per informazioni: Centro studi “Schiavi di Hitler”
via Regina, 5 - 22012 Cernobbio tel. 3202461195 info@schiavidihitler.it
Presidente è Valter Merazzi.
Dallo Statuto, la finalità del “Centro Studi Schiavi di Hitler” è quella di “favorire e promuovere l'attività di ricerca storica e di raccolta documentale sui militari e civili italiani deportati e costretti al lavoro forzato nella Germania nazista tra il 1943 e il 1945 e sostenere la campagna per il loro pieno riconoscimento storico e morale”.
La ricerca storica per lo studio della deportazione in Germania tra il 1943 e il 1945, finalizzata al risarcimento del lavoro forzato cui furono costretti gli italiani, é iniziata nel 1999.
Nonostante l'esclusione degli Imi e dei deportati civili (ad eccezione dei Kz) dal risarcimento, la raccolta di documenti, testimonianze, pubblicazioni, lo sviluppo di progetti con enti di ricerca in Italia e in Germania, l'assistenza a ricercatori, la promozione e l'aiuto a reduci e parenti nella richiesta della medaglia d'onore concessa dallo Stato italiano, sono proseguiti sino ad oggi.
Il “Centro studi Schiavi di Hitler" ha una raccolta, unica in Italia, di oltre un centinaio di interviste frutto di un lavoro che si è protratto per oltre quindici anni.
Ha inoltre realizzato una mostra dal titolo: "Schiavi di Hitler. Racconti, immagini, documenti dei deportati italiani 1943-1945"
Nell'anno 2000, con la costituzione della fondazione “Memoria, Responsabilità e Futuro” si sarebbe dovuta concludere la lunga controversia in merito agli indennizzi per gli ex lavoratori coatti durante il periodo nazista. Ma a differenza dei prigionieri polacchi, i soldati sovietici e italiani furono esclusi dagli indennizzi, nonostante che anch’essi fossero stati costretti al lavoro coatto. (Nel caso dei prigionieri di guerra sovietici, il Parlamento Federale tedesco ha deliberato nel 2015 l’erogazione di un simbolico “riconoscimento” finanziario).
Dopo un peggioramento dei rapporti tra Germania e Italia, nel novembre 2008, i ministri degli Affari Esteri di entrambi i paesi (per l’Italia era in carica il ministro Franco Frattini) al vertice italo-tedesco di Trieste decisero di insediare una commissione congiunta di storici. La commissione, nel 2012, ha proposto una mostra permanente al Centro di documentazione sul lavoro coatto durante il nazismo di Berlino-Schöneweide. É questa mostra che è stata inaugurata il 30 novembre 2016. Lo scopo della mostra é quello di far conoscere il destino dei circa 650.000 militari internati italiani e le loro vicissitudini, circostanze che in Germania sono poco conosciute al vasto pubblico.
"E in Germania, un campo di concentramento per militari italiani diventa un museo a Berlino". É il titolo del servizio TV del corrispondente della Rai Rino Pellino, andato in onda in occasione dell'inaugurazione della mostra. Vedi il servizio: un museo dedicato militari italiani deportati
Il titolo della mostra permanente: “Zwischen allen Stühlen. Die geschichte der Italienischen militärinternierten 1943-1945”. “Tra più fuochi. La storia degli internati militari italiani 1943-1945”.
La mostra è allestita in una delle lunghe e basse casupole in muratura, ancora oggi presenti nel quartiere di Schöneweide, nella parte sud orientale di Berlino, dove nel corso della guerra venne “alloggiato” un consistente numero di lavoratori forzati, il cui gruppo più numeroso era costituito da circa 500 italiani.
Il Lager di Schöneweide, è nei sobborghi di Berlino vicino alla riva della Sprea. Si raggiunge dopo aver attraversato il parco di Treptow, dove è collocato l'imponente memoriale ai caduti dell'Armata rossa nella decisiva battaglia per Berlino.
Il Lager di Schöneweide è oggi un luogo di Memoria. Ospita il “Centro di documentazione sul lavoro forzato nella Germania nazista”, emanazione della fondazione “Topografia del Terrore” che gestisce alcuni fra i principali siti sulla seconda guerra mondiale nella città di Berlino.
In altre casupole sono allestite le mostre in “La vita quotidiana dei lavoratori forzati nella Germania nazista 1938–1945” e “Batterie per la Wehrmacht. Lavoratori coatti alla Petrix 1939-1945”. I sotterranei della baracca n. 13, dove sono stati rinvenuti alcuni minuscoli graffiti vergati da italiani, sono visitabili su richiesta.
La mostra, bilingue si sviluppa su una superficie di 250 mq e occorrono alcune ore per visitarla. Il ricco catalogo ne ripercorre la scansione e ripropone i documenti più significativi.
Le baracche in muratura, ben conservate, sono inserite in un contesto periferico urbano, collocate in un grande prato con qualche albero circondato da palazzi a quattro-cinque piani. L'ambiente circostante è di per sé un documento di come il lavoro forzato fosse non l'eccezione ma la regola nella società tedesca in guerra.
Nel dopoguerra le baracche sono state utilizzate dal ministero della sanità della Ddr e successivamente alcune per usi commerciali e artigianali.
ulteriori informazioni sulla mostra
Alla realizzazione della mostra ha contribuito anche il Centro studi “Schiavi di Hitler”, che ha sede in Italia, a Cernobbio. Il Centro studi “Schiavi di Hitler” ha rapporti con alcuni tra i principali centri di ricerca e memoriali della Germania.
All’inaugurazione della mostra ha partecipato anche Valter Merazzi, presidente del Centro studi “Schiavi di Hitler”.
Dalla sua relazione sulla mostra:
«La mostra è molto ben curata nel suo sviluppo e nella grafica. Per la sua realizzazione sono occorsi almeno due anni. Molti i reperti, gli oggetti raccolti con una paziente ricerca in Italia donati da famiglie e associazioni locali. Le postazioni video consentono la visione di sequenze di interviste con sottotitoli anche in inglese. Altre postazioni offrono alcuni semplici strumenti per un approccio didattico-educativo di tipo interattivo.
Dal punto di vista dei contenuti la mostra si sviluppa nei seguenti otto capitoli
1) i rapporti fra Italia fascista e Germania nazista dal 1936 all'8 settembre 1943
2) la cattura
3) le disastrose condizioni del trasporto
4) la condizione di vita degli Imi nei lager e nelle aziende. Malattie e decessi
5) la prigionia degli ufficiali
6) la civilizzazione degli Imi
7) liberazione, attesa e rimpatrio.
8) gli ex internati nel dopoguerra. Ignorati in Italia, mai indennizzati dalla Germania
Inoltre vengono approfonditi quattro temi sulle “condizioni particolari che determinavano la sorte degli italiani”:
1) la propaganda nazista contro gli italiani traditori
2) La condizione degli Imi e le differenze con gli altri prigionieri di guerra
3) La pecularietà degli italiani. La richiesta di arruolamento dei tedeschi e della Rsi
4) Il ruolo della Rsi verso gli IMI.»
Le videotestimonianze dei protagonisti sono uno degli aspetti salienti della mostra e nell'allestimento sono presenti una quindicina di testimoni la metà dei quali intervistati da Valter Merazzi presidente Centro studi "Schiavi di Hitler", che così ha commentato: «Abbiamo avuto la piacevole sorpresa di essere inclusi nel video dedicato ai principali storici che si sono occupati di questa vicenda; non solo per le videotestimonianze, ma anche per la nostra ostinata attività per una giustizia storica, materiale e morale».
Viale Elisa Ancona a Lissone
alcuni momenti dell'inaugurazione di Viale Elisa Ancona
Dal sito del Comune di Lissone: il Sindaco Concettina Monguzzi "In memoria di Elisa Ancona"
Il comunicato stampa dell'Amministrazione comunale, dal sito del Comune:
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La legge istitutiva del "Giorno della Memoria"
Legge 20 luglio 2000, n. 211
"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.
In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.
Giorno della Memoria 27 gennaio 2017 a Lissone
Chi era Elisa Ancona
Era nata il 10 ottobre 1863 a Ferrara. Prima di rifugiarsi a Lissone in seguito all’occupazione tedesca del nostro Paese dopo l’8 settembre 1943, abitava in via Nievo 26 a Milano. Era vedova di Achille Rossi. Risiedeva nel capoluogo lombardo dal 1902 ed era iscritta alla locale Comunità israelitica.
Venne a rifugiarsi a Lissone come sfollata in seguito all'occupazione tedesca dopo l'8 settembre 1943 e per sfuggire ai bombardamenti alleati della città. L’anziana donna fu arrestata il 30 giugno 1944 a Lissone da militi della Guardia Nazionale Repubblicana e reclusa a San Vittore. Venne successivamente trasportata a Verona dove fu inclusa, il 2 agosto, nel trasporto proveniente da Fossoli e arrivato ad Auschwitz il 6 agosto 1944. Elisa Ancona, come avveniva per tutti gli anziani, fu avviata subito alle camere a gas; aveva 80 anni.
Alcuni particolari sulla vicenda di Elisa Ancona, appresi da alcuni suoi discendenti:
Elisa Ancona, nata a Ferrara nel 1863, era rimasta vedova ancora giovane e si era trasferita a Milano con i tre figli, due dei quali durante la guerra fuggirono clandestinamente in Svizzera per salvarsi dalla persecuzione razziale.
Prima però pensarono di sistemare la mamma, che per l'età non poteva affrontare la via dell'esilio, in un istituto religioso o casa di riposo a Lissone, dove abitava una famiglia di amici.
Ma per un caso sfortunato (e forse per una segnalazione di un delatore) la signora incappò in una retata: la Guardia Nazionale Repubblicana (i carabinieri della Repubblica fascista di Salo') stavano cercando un'altra persona ebrea che si trovava sotto falso nome nella stessa casa e che invece era riuscita a fuggire.
Dal 1938 in Italia erano in vigore le leggi razziali, volute da Mussolini.
vedi anche: Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia
Nel dopoguerra un nipote di Elisa Ancona, Guido Piazza, tornò a Lissone e aprì una nota concessionaria d'auto; tant'è che, regalando alla locale Croce Verde una delle sue prime ambulanze, volle intitolarla proprio alla memoria della nonna morta nel campo di concentramento.
In occasione del “Giorno della Memoria 2017” a Palazzo Terragni è stata allestita una mostra di pittura dal titolo “IN MEMORIA DELLA SHOA” curata dall’Associazione “Club Donna Natalia Ginzburg” di Lissone in collaborazione con l’Accademia “Accademia Dipingere Insieme Desio” di Desio.
Di seguito alcune delle opere esposte: