Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Le stragi nazifasciste (da luglio 1943 ad aprile 1945)

29 Juillet 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo

Italia: dal luglio 1943 ad aprile 1945 sono circa 9.500 le persone perite in stragi nazifasciste, prive di una effettiva pericolosità militare e quasi tutte immuni da colpe effettive.

Civili inermi e abbandonati

Le vicende della popolazione civile con i suoi travagli e la sua esposizione sul fronte di guerra, hanno inizio ancor prima dell'occupazione nazifascista e contribuiscono a segnare quelle svolte e a preparare quelle reazioni che trovano espressione compiuta nei giorni dell'insurrezione. Nella guerra totale, senza fronti delimitati, la popolazione civile è inconsapevolmentc collocata in una scomoda prima linea alla quale non è prepara ta né materialmente né psicologicamente. I civili non soggetti alla ferma militare (in larga maggioranza si tratta di donne, ragazzi, bambini, anziani), sono quasi sempre impreparati ad una qualsiasi prospettiva di morte sia subita che recata e raramente possiedono armi per difendersi (sempre che siano disposti a usarle). Il militare che combatte vede un fine nella morte del nemico ed è educato a credere che ci sia uno scopo anche nella propria morte; il civile è del tutto estraneo a quest'ordine di idee e vive la morte delle persone care nelle chiavi dell'inutilità e dell'inesplicabilità che portano ad amplificare il sentimento di dolore.

Nel corso di cinque anni di guerra, anche per le donne e gli anziani, la prospettiva della morte è cambiata; si fa l'abitudine alla vista dei corpi senza vita, ma non muta quel sentimento di rabbioso dolore.(che rimanda alla vacuità della morte di un civile cagionata da militari) di fronte alla morte vio. lenta dei propri familiari. Per questo straripamento indistinto dei confini del fronte, sui caduti della seconda guerra mondiale scompare quella particolare costruzione di eroismo, sacralità e perpetua giovinezza che aveva ac. compagnato le morti dei caduti nella Grande guerra. Il fronte totale e le morti dei civili, che per la prima volta, con la seconda guerra mondiale, superano quelle dei militari, fanno rimbalzare sulla sfera pubblica il peso e il rifiuto dei lutti che si protrae anche nei decenni a venire.Complessivamente, tra civili e militari, le vittime della seconda conflagrazione mondiale arrivano a sfiorare i 50 milioni.

La popolazione subisce la violenza indipendentemente dalle sue prese di posizione. Bombardamenti, uccisioni, deportazioni, eccidi sono parte di quella grande macchia sulla quale si è riversato il sangue delle popolazioni civili, italiane ed europee. Questi fenomeni, assieme all'esperienza dello sfollamento, marcano le vicende delle popolazioni civili (e militari) lasciando su queste un segno profondo. Apatia e distacco dal fascismo convivono in percorsi non scontati, passibili di ulteriori mutamenti; certamente i bombardamenti hanno il potere, per le concatenanti reazioni collettive che producono, di cambiare la maniera di esistere e di pensare. Il peso del conflitto sulla popolazione orienta le forze degli individui nella dimensione della sopravvivenza. L'incombenza del pericolo di morte può indurre a istintive reazioni di apatia verso le parti in lotta: «O tedeschi o inglesi per noi è lo stesso, purché finiscano presto questi tormenti, questo lento morire, questa continua ansia mortale».

I bombardamenti, le privazioni e i razionamenti rientrano ancora all'interno di una guerra convenzionale e di conquista. Chi bombarda ha una responsabilità, ma resta anonimo; i nazisti che deportano e uccidono esercitano una violenza diretta e per questo ancora più traumatica: si vedono in faccia, sono vicinissimi. È un destino che si abbatte senza. preavviso, si può uscire di casa e venire rastrellati per essere inviati in un lager perché «la deportazione risulta non un evento eccezionale ma possibile della guerra, un rischio diffuso». Durante il conflitto sono oltre 40.000 gli italiani deportati dopo l'8 settembre nei lager nazisti. Tra questi sono inclusi gli 8.566 cittadini deportati dall'Italia o dalle colonie perché ebrei. Su questi ultimi incombe un destino di morte: l'88% perde la vita nei lager. Alla massa dei deportati vanno aggiunti i circa 730.000 militari dell'esercito italiano internati dai tedeschi. Complessivamente, Fra militari e civili, si stimano in oltre 50.000 gli individui italiani scomparsi nella galassia concentrazionaria.

La soppressione del civile inerme ad opera del militare nazista (o nazifascista) configura la dimensione piu alta del livello di violenza inferto sulla popolazione. È caratteristica delle guerre moderne l'incapacità di controllare l'erogazione del potenziale bellico, tanto che il confine tra militari e civili tende sempre piu a sfumare, ma il civile colpito da un bombardamento può, in diverse circostanze, passare come un evento accidentale é occasionale mentre l'uccisione di un civile senz'armi, abbattuto viso a viso da un militare, assume, inequivocabilmente, i connotati di un intervento deliberato. Nei confronti delle popolazioni italiane i nazisti attuano la strategia deI terrore, capace di sconfinare rapidamente in ripetuti massacri. I nazisti, rispetto a quanto accade nell'Europa dell'Est, non compiono una metodica guerra di annientamento nei confronti dei civili, ciononostante alcune stragi - in primis quella di Marzabotto - ne richiamano i metodi e il risultato d'insieme dell' occupazione nazista è un lungo disseminarsi di eccidi avvenuti per le piu diverse (spesso anche incoerenti) ragioni. La prima strage nazista è compiuta a Castiglione di Sicilia il 12 agosto 1943 e colpisce la popolazione dell'alleato esercito italiano; un numero decisamente basso di eccidi matura per rappresaglia in risposta a un precedente attentato; tale è - ad esempio -la strage del 29 giugno 1944 avvenuta a Civitella in provincia d'Arezzo. Esiste un numero significativo di eccidi che pua essere collocato come ritirata aggressiva (è il casa di alcune stragi nell'Italia centrale e di diverse nell'aprile del 1945, tipico esempio quella di Grugliasco nel torinese del 30 aprile 1945). ln questo caso si assiste a rabbiosi sfoghi di violenza instillati da una coazione ad uccidere insita nell'indottrinamento nazista delle truppe. Ci sono stragi compiute contro i civili eseguite per «ripulire il territorio» dalle formazioni partigiane e da chi offre a queste aiuti e basi; è il caso dell'eccidio di Marzabotto (29 settembre-5 ottobre 1944), che, come altri massacri, non solo si è rivelato strategicamente inutile, ma è stato eseguito in maniera indiscriminata, al di fuori di ogni ragione bellica, come testimonia l'uccisione di 216 bambini, neonati inclusi. La propaganda nazifascista si muove per attribuire la responsabilità morale degli eccidi ai partigiani che vengono indicati come la causa del propagarsi della violenza contro i civili. ln questo modo la pratica della strage vuole essere lo strumento, allo stesso tempo brutale e sottile, per spingere la popolazione a mutare il suo atteggiamento di prevalente complicità con la Resistenza, in un nuovo atteggiamento di totale ostilità verso i partigiani.

Nella pratica della violenza attuata da nazisti e fascisti si scorgono importanti risvoIti psicologici connessi all'ideologia. Ad esempio: per lungo tempo c'è stato il mancato riconoscimento del nemico partigiano - visto solo nella veste di bandito - e ciò ha pradotto l'effetto distorto di vedere nella popolazione civile un potenziale nemico. ln questo modo si muove una contraddizione di fondo tra giustificazione, azione e fini nella condotta nazifascista, che vorrebbe dimostrare che senza partigiani non ci sarebbe violenza, non fosse che l'esecuzione di numerose stragi (tra le altre Castiglione di Sicilia, Bellona, Caiazzo e in larga misura quasi tutte quelle compiute al Sud) ha palesemente provato che l'eccidio prescinde dalla presenza partigiana. Ciò significa che gli stessi civili sono assoggettati al nemico a causa della frequente incapacità dell'esercito straniero e occupante di rapportarsi con la popolazione. Dentro a questo percorso, mentale e materiale, si coglie la ragione che alimenta la violenza nazifascista. Certamente ai nazisti e ai fascisti costa riconoscere il fronte partigiano, soprattutto per quello che i partigiani rappresentano: un'altra autorità, un'altra legittimità, altri valori.Ecco la ragione di fondo celata dietro l'ufficiale disprezzo dei militari di carriera per i gruppi irregolari partigiani che quasi mai si vedono, ma che comunque riescono a colpire. Gli attentati e i sabotaggi subiti sono opera di indistinti banditi, il nemico in quanto tale non esiste, ma cià crea la logica isterica del «nessun nemico tutti nemici» che convive con l'inclinazione all’ esecuzione indiscriminata e sistematica di una violenza che puà sfociare nell' eccidio. L'abitudine alla violenza finisce poi per sovrastare scopi e motivi, cosicché l'esplosione della violenza puà avvenire in modo gratuito e del tutto casuale. Alla negazione del nemico si aggiungono le precise disposizioni emanate, nel luglio 1944, dal comandante delle truppe tedesche in Italia Albert Kesselring che consentono il piu largo uso della violenza anche contro i civili, disposizioni comuni anche alla condotta di occupazione fascista in Jugoslavia e che seguono una pratica già in atto.

Monumento a ricordo della strage di Sant'Anna di Stazzema

Forse non è un caso che, nel corso del successivo mese di agosto, si compiano in Italia almeno 25 eccidi di significative proporzioni facendo entrare la violenza nazista nella sua fase piu intensa. La linea della guerra ai civili è sostenuta senza remore anche dal ministro degli Interni della Rsi Guido Buffarini Guidi il quale, in un rapporto inviato ai prefetti delle province piemontesi, scrive che «la popolazione civile nella sua più ampia maggioranza favorisce i banditi e quindi tutta può e deve pagare».

 

Le vittime degli eccidi

L'esperienza piu traumatizzante per chi vi ha assistito ed è sopravvissuto è senz'aItro quella degli eccidi, di solito attuati nelle pubbliche vie. Sono proprio i civili, in larghissima maggioranza, le vittime di eccidi, persone segnate dalla sventura di trovarsi, non volendolo, in pieno fronte e quasi sempre disarmati. Le donne, gli anziani e i bambini sono le categorie piu deboli; su di lora la violenza puà essere esercitata con minori rischi e su di loro infieriscono impietosamente i nazifascisti tant'è che quasi due terzi dei deceduti nelle stragi nazifasciste appartengono a queste categorie.

Esiste una fitta geografia di eccidi ed uccisioni (con esclusione degli scontri armati). A partire dagli episodi nei quali sono morte più di 7 persone, sono stati individuati in Italia oltre 400 casi di eccidi di civili e di partigiani, con una fitta concentrazione nel Centra-Nord della Penisola. Toscana ed Emilia Romagna sono le regioni che hanno avuto il maggior numero di località teatro di eccidi, eventi che si verifichino soprattutto in quei centri situati in prassimità della Linea Gotica. Il Sud, ad eccezione di alcune aree comprese tra il barese e il foggiano e tra.Napoli e Caserta, resta quasi immune da questa calamità. Nel Nord: Piemonte, Friuli, Istria, Veneto e in particolare nell'area vicentina, risultano tra le regioni piu colpite. Complessivamente sono state stimate in circa 10.000 le vittime civili di stragi e massacri, ma il loro numero - anche sulla base della tabella seguente che non include le numerose circostanz,e dove i caduti sono inferiori al numero di 7 -, deve ritenersi senz'altra superiore. La ricostruzione qui praposta e ancora incompleta delle principali stragi italiane, si è soffermata principalmente sugli eccidi contro i civili. ln diverse circostanze, a perire assieme alla popolazione ci sono anche i partigiani. Complessivamel'lte sono state censite 285 stragi che hanno colpito, 9903 persone. ln questo elenco sono state inserite soltanto alcune delle stragi piu note e sanguinose che hanno colpito i combattenti della Resistenza. Nel nostra computo la categoria di civili include senz'altra ebrei e religiosi mentre, in assenza di ulteriori specificazioni, appare difficile stabilire se le vittime rientrino tra i caduti civili o partigiani quando le fonti indicano denominazioni onnicomprensive come quelle di «detenuti antifascisti» o di «renitenti alla leva».

In base alle indicazioni disponibili, per scindere i ruoli delle persone perite, si può avanzare soltanto una stima approssimativa che include 244 caduti partigiani (cifra in netto difetto perché in numerose stragi di civili sono segnalati caduti partigiani senza che però ne sia riportato il numero), 50 militari (fra questi: forze dell'ordine, vigili urbani, circa 30 disertori tedeschi e 2 soldati alleati). Altro aspetto di non facile soluzione si incontra quando i caduti sono indicati come «patrioti», cioè fiancheggiatori del movimento di Resistenza. Nel caso dei detenuti antifascisti questi individui periscono disarmati di fronte al nemico e spesso, in analoga condizione, si trovano i renitenti alla leva. Si può arrivare a ritenere che possano essere circa 9.500 le persone, perite in queste stragi, prive di una effettiva pericolosità militare e quasi tutte immuni da colpe effettive.

da “La lunga liberazione” di Mirco Dondi - Editori Riuniti/l’Unità - aprile 2008

 

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