Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

L'Italia in guerra. Verso la crisi del regime fascista.

8 Novembre 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo

È difficile precisare in quale periodo esatto sia cominciata la crisi decisiva del regime fascista, quando cioè abbia avuto inizio la disgregazione di quelle basi di massa sulle quali, oltre che sul terrore poliziesco, esso aveva basato il proprio dominio.

Questa crisi viene alla luce in modo drammatico nel corso della seconda guerra mondiale, essa è tuttavia già avviata prima dello scoppio del conflitto per una complessa serie di motivazioni:

1) la imposizione, verificatasi fin dal 1935, della camicia di forza corporativa e autarchica alla debole economia italiana che ha avvantaggiato enormemente pochi gruppi monopolistici, a scapito dell'intera collettività nazionale;

Le sanzioni

 

2) lo stato di guerra permanente cui è stata assoggettata la popolazione italiana fin dal tempo dell'aggressione all'Etiopia;

3) il conseguente radicalizzarsi di uno stato di disagio e di malcontento fra quegli strati della piccola e media borghesia, nella città e nelle campagne, fra cui il fascismo aveva raccolto inizialmente gran parte dei suoi consensi;

4) motivi politici come la costituzione dell'Asse, l'allineamento della Italia fascista con la Germania nazista, la prona accettazione dell'Anschluss, l'artificiosa importazione della teoria della razza e dell'antisemitismo.

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L’aver accolto Mussolini reduce dal suo viaggio a Monaco quale presunto «salvatore della pace» rivela l'illusione che il fascismo possa garantire la pace e tener fuori l'Italia dalla catastrofe che minaccia il mondo e l'Europa.

L’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista era impopolare e inoltre veniva messa in gioco non solo la sorte del fascismo, ma quella del paese, della collettività nazionale.

corriere 11 06 1940

La popolazione italiana finì per adottare l'ambigua parola d'ordine del vecchio partito socialista nella prima guerra mondiale: « Né aderire, né sabotare ».

« Né aderire»: mancò nella seconda guerra mondiale quel fenomeno tipico della storia militare italiana che è il «volontariato»; mancarono quei «canti di guerra» che erano sempre fioriti sulla bocca dei combattenti dell'Italia unita, anche nel corso delle imprese coloniali come quella di Tripoli. L'unico canto autentico di guerra - quello degli alpini della Julia “Sul ponte di Perati” - nacque dalla disfatta in Grecia ed è ispirato a un senso di tragica rassegnazione.

 

“Sul ponte di Perati bandiera nera / l’è il lutto degli Alpini  che fan la guerra. Quelli che son partiti non son tornati / sui monti della Grecia sono restati. / Sui monti della Grecia c’è la Vojussa / col sangue degli Alpini s’è fatta rossa. / Un coro di fantasmi vien giù dai monti / è il coro degli Alpini che sono morti. / Alpini della Julia in alto i cuori / sul ponte di Perati c’è il Tricolore.”

 

«Né sabotare»: la mancata adesione alla guerra fascista assai tardi si tradusse in un esplicito rifiuto.

Furono le stesse vicende belliche a chiarire la situazione, a rendere evidente come la conservazione del regime fascista in nessun modo potesse identificarsi con una qualsiasi prospettiva di «vittoria». A differenza di ciò che si verificò per le armate del III Reich, il regime fascista, intervenuto nel grande conflitto nella stolta previsione d'una sua rapida conclusione, ma avendo già logorato armamento e mezzi nella guerra d'aggressione in Etiopia e in Spagna, non seppe che collezionare fin dal primo momento sconfitte su sconfitte, dalla campagna di Grecia all'Africa settentrionale e al disastro navale di Taranto.

 

(A Taranto l’11 novembre 1940 dopo le 22 circa, aerei inglesi si lanciarono contro le corazzate italiane “Duilio, Littorio e Cavour” che furono colpite gravemente e che, per evitare l’affondamento, furono portate ad incagliarsi su bassi fondali; danneggiati in modo minore furono il “Trento” e i caccia “Libeccio” e “Pessagno”. Fu la nostra Pearl Harbour).

 

Rapidamente svanita l'illusione di poter condurre una guerra « parallela» - cioè con le proprie forze e con propri obiettivi, in forma autonoma rispetto all'alleato tedesco - ben presto venne alla luce l'effettivo rapporto di forze. La guerra fu condotta dapprima con l'aiuto tedesco (per la riconquista della Cirenaica e per l'invasione alla Grecia) poi sempre più evidentemente al servizio del tedesco, già con la prima spedizione in URSS e poi nella alterna vicenda della campagna in Africa settentrionale.

 

La dura realtà sofferta e vissuta quotidianamente dal paese.

La Germania nazista poteva sostenere il peso della guerra, mediante la spoliazione sistematica d'ogni regione invasa ad ovest e a est. Nel suo sforzo bellico erano inseriti i lavoratori forzati d'ogni parte d'Europa.

Nell’Italia fascista invece:

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a) Gravissima la situazione alimentare: fin dall'inizio del conflitto si applicò il razionamento dei generi fondamentali; la razione giornaliera di pane, stabilita nel settembre '41 a 200 grammi, scendeva nel giugno '42 a 150 grammi; grassi commestibili, razionati inizialmente a 800 grammi mensili, scendevano a 400 grammi; lo zucchero si stabilizzava intorno a 500 grammi. Carne, pollame, uova scomparvero pressoché totalmente dal mercato. Gli italiani che già prima del conflitto erano agli ultimi posti in Europa per il consumo di calorie pro capite, dovettero, per sopravvivere, ricorrere sempre più largamente al «mercato nero»;

tessera-annonaria.JPG file per acquisto pane

 

Rapido e continuo l'aumento del costo della vita: assumendo per base il 1928 = 100, i beni di consumo da 94,3 nel 1939 toccavano la quota di 125,3 nel 1941, i beni strumentali nello stesso periodo da 144,2 ascendevano a 198,3.

Complessivamente il costo della vita, rispetto all'ultimo «anno di pace» goduto dall'Italia prima dello scoppio del conflitto etiopico, era salito del 112 per cento, cioè più che raddoppiato.

b) normalmente fermi o bloccati al livello anteguerra i salari; in continua discesa il loro valore reale. Assumendo come indice il livello da essi conseguito prima dell'avvento del fascismo (1921 = 100), nel 39 essi toccavano la quota 90 per poi precipitare via via nel '41 a 86, nel '42 a 83 e così via;

c) deficit del bilancio statale, che non valgono a colmare le emissioni di Buoni del Tesoro, con percentuali d'interesse (fino al 5,4 per cento) superiori a quelli praticati in ogni paese d'Europa coinvolto nel conflitto. Sempre più accentuata la spinta verso l'inflazione. Il peso dei sacrifici ricade tutto verso il basso, mentre ne sono esonerati i detentori del potere economico e politico.

d) I gruppi monopolistici del capitalismo italiano prosperano fra la generale miseria; in costante aumento risultano i dividendi delle maggiori società azionarie. Aumentano i capitali delle maggiori società come la Montecatini, la Terni, la SIP, l’Adriatica Elettricità, etc. Sono sfrenate le lotte per le commesse belliche;

e) la corruzione dei gerarchi, gli scandalosi episodi di speculazione in cui è coinvolta l'intima cerchia di Mussolini (la «banda Petacci» si dedica al contrabbando dell'oro.

Il distacco dal regime, ancora generico prima dello scoppio della guerra, diventa un vero e proprio «odio fisico» per la stessa figura dei gerarchi esonerati dai sacrifici e dalle sofferenze della guerra.

Ad arginare l'ondata di collera o di disprezzo che via via investe il Partito fascista non valgono i parziali provvedimenti disciplinari, come l'espulsione di qualche gerarca provinciale per «disfattismo» o per reati annonari, né le campagne propagandistiche che vengono lanciate secondo le particolari esigenze belliche. La fiducia nell'uomo che «ha sempre ragione».

Piuttosto che ai bollettini di guerra e ai comunicati della stampa fascista, abitualmente menzogneri e reticenti, si presta fede a Radio Londra, nonostante i divieti.

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Il R.D. del 6 giugno 1940 n° 765, all’articolo 8, vieta agli ascoltatori della radio e ai possessori di apparecchi radioriceventi di ascoltare le trasmissioni delle stazioni “nemiche o neutrali”.

colonnello Stevens BBC Radio Londra 

Il colonnello Stevens ai microfoni della BBC-Radio Londra

 

Largamente diffusi sono i motti di spirito o le barzellette che pongono in ridicolo il regime.

 

Un esempio di scritte murali e commenti:

«Indietro non si torna». La frase fu scritta, per caso, sul muro di un cimitero; e una mano ignota, aggiunse·lì sotto: «Lo credo, io».

«Solo Iddio può piegare la volontà fascista: gli uomini e le cose mai». E il commento fu immediato: «Speriamo in Dio».

 

Al principio dell'estate 1942 le sorti della guerra in Europa pendono ancora a favore di Berlino. Si apre alle forze dell'Asse la vallata del Nilo e la possibilità di colpire al cuore l'impero inglese. Sul fronte russo, le truppe del III Reich hanno ripreso la loro avanzata spingendosi fino al Caucaso e affacciandosi sul Volga a Stalingrado. Mussolini si è già procurato il cavallo bianco, su cui entrare vittorioso ad Alessandria, rinnovando i fastigi napoleonici.

Nell'estate 1942 sul fronte interno avviene il silenzioso, gravissimo sabotaggio alla guerra fascista che i contadini operano nelle campagne, sottraendo più di un terzo del raccolto agli ammassi imposti dal fascismo.

ammasso 

Quando spunta all'orizzonte la sconfitta di El Alamein,  il fascismo cerca di velarne la tragica gravità, spacciandola per una delle tante ritirate strategiche che già si sono verificate in Africa settentrionale.

Ma questa volta tutti comprendono che ci si è avvicinati ad una svolta decisiva della guerra. La sconfitta di El Alamein coincide con l'ingresso nel Mediterraneo delle forze americane, con lo sbarco USA sulla costa dell'Africa settentrionale francese. Ed è questo un fatto nuovo e decisivo, di grande portata storica anche per il futuro e non soltanto collegato alle sorti immediate della guerra. «Gli Stati Uniti, occupando l'Algeria e il Marocco, hanno compiuto un'operazione offensiva che cambia completamente i rapporti di forze in tutto il settore mediterraneo, il quale è per l'Italia il settore decisivo».

Una maestra di una scuola elementare di Lissone scrive il 12 maggio 1943 sul “Giornale della Classe”: «La campagna di Tunisia si è chiusa dopo una resistenza veramente leggendaria da parte dei nostri valorosissimi soldati. Le mie alunne che hanno seguito con grande interesse le vicende della guerra in Africa, sentono il dovere di diventare migliori per essere degne degli eroici giovani che hanno, col loro sangue, resa sacra quella terra dove sicuramente torneremo! La vittoria non ci può mancare!».

p 12mag43 Tunisia vittoria non mancare

 

Ma la realtà è ben diversa: sul fronte orientale le truppe sovietiche, dopo aver resistito nell'assedio di Stalingrado, continuano la loro controffensiva.

Dopo la Russia dove, nel marzo del 1943, i resti di quello che era l’ARMIR erano stati rimpatriati, lasciando in quelle terre circa 100.000 soldati italiani, ora tocca all’Africa: circa 250.000 uomini, tra tedeschi ed italiani, hanno deposto le armi. Gli Alleati avanzano.

Il generale Alexander invia a Churchill il seguente messaggio: «È mio dovere informarla che la campagna di Tunisi è terminata. Ogni forma di resistenza nemica è cessata. Noi controlliamo le spiagge del Nordafrica ...»

 

 

Bibliografia:

Battaglia Roberto, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, 1964

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