Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

25 aprile 2010

21 Avril 2010 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #pagine di storia locale

65° anniversario della Liberazione

 

Lissone, 25 aprile 2010

Intervento del prof. Giovanni Missaglia, oratore ufficiale dell’ANPI di Monza e Brianza:

"LA CRISI E L’ATTUALITÀ DELL’ANTIFASCISMO"

"A dispetto del ruolo che mi compete in questa giornata di festa e di commemorazione, vorrei iniziare il mio intervento con una nota amara sulla crisi di quello che è stato chiamato il “paradigma antifascista”. Un paradigma che negli ultimi anni ha subito molti attacchi espliciti o, nella migliore delle ipotesi, è caduto nell’oblio, è invecchiato – così si dice – secondo le inesorabili leggi del tempo.

Un giovane storico di idee politiche moderate, Sergio Luzzatto, nel 2004 ha scritto un bellissimo libro intitolato La crisi dell’antifascismo. Proprio nelle prime pagine afferma: “Inutile negarlo: l’antifascismo sta attraversando una crisi profonda; eventualmente una crisi irreversibile. E non soltanto a causa della legge generale per cui l’impatto di ogni fenomeno storico è destinato comunque a diminuire nel tempo […]. Penso che alla mia generazione competa una responsabilità retrospettiva ben precisa: non consentire che la storia del Novecento anneghi nel mare dell’indistinzione”.

E invece è proprio nel mare dell’indistinzione che rischiano di condurre, se non hanno già condotto, alcune esigenze di per sé legittime e persino irrinunciabili. Penso, in primo luogo, al tema della pietà per i morti, al rispetto che si deve anche a coloro che decisero di militare nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana. L’ingiunzione etica, che per qualcuno riveste anche un significato religioso, è fuori discussione: non compete agli uomini il giudizio morale. Che, però, non deve essere confuso col giudizio storico: quel che conta, dice ancora Luzzatto, quando ci si collochi sul terreno della valutazione storica, non è l’uguaglianza nella morte, ma la disuguaglianza nella vita. “Il saloino era evidentemente disponibile ad immolarsi per l’Italia della Risiera di San Sabba e di Fossoli: per il mondo di cui Mussolini e Hitler andavano berciando da vent’anni, dove i più forti erano i migliori, i più deboli partivano dentro carri bestiame per una destinazione che soltanto gli ipocriti qualificavano ignota. Il garibaldino era pronto a morire per l’Italia di Montefiorino e della Val d’Ossola […], per un mondo che poteva sperare libero, egualitario, solidale”; Luzzatto può così concludere che “le concrete circostanze della storia italiana e mondiale attestano oltre ogni margine di dubbio che il partigiano delle Garibaldi combatteva dalla parte giusta, il ragazzo di Salò dalla parte sbagliata”.

Un’altra istanza sacrosanta rischia di condurci “nel mare dell’indistinzione”. Penso al grande tema della pacificazione tra gli italiani che una festa come quella del 25 aprile, secondo i suoi detrattori, avrebbe il torto di impedire. Occorre intendersi. Il bisogno di voltare pagina dopo un conflitto tremendo, di non interpretare la memoria come eterna perpetuazione dei conflitti del passato, è giusto. Del resto, fu proprio il ministro Togliatti ad assumere nei confronti dei fascisti il provvedimento tanto discusso dell’amnistia. Ma deve essere chiaro, in primo luogo, che la pacificazione non può equivalere ad una parificazione tra fascisti e antifascisti. Sarebbe inaccettabile sul piano morale, ma sarebbe persino insensato sul piano storico; sarebbe, questo sì, un modo per togliere dignità e responsabilità a quegli italiani che scelsero di combattere al fianco del’alleato nazista per la costruzione di un’Italia fascista. Deve essere chiaro, in secondo luogo, che la vera pacificazione fu proprio quella operata dai partigiani e dai loro eredi politici. Essa non fu altro che quell’opera di democratizzazione della vita pubblica che è l’unica condizione di una pace duratura: la costruzione di un Paese dove il pluralismo politico e il riconoscimento delle libertà consentisse a tutti, pur nelle differenze sociali, politiche ed economiche, di sentirsi italiani e di vivere in pace con gli altri italiani e con gli altri popoli.

Non credo, tuttavia, che questi argomenti siano sufficienti a ridare vita a un antifascismo largo e partecipato, sentito, soprattutto, dalle nuove generazioni. Penso, invece, che l’antifascismo vivente sia oggi quello depositato nella Costituzione della Repubblica italiana. Anche per questo è una vera tragedia che troppo spesso, nella formazione dei giovani, la Costituzione non trovi posto. E’ proprio lì l’antifascismo da vivere tutti i giorni; e non come un impegno “contro” –come potrebbe suggerire il prefisso “anti” della parola “antifascismo” – ma come un impegno “per”. Per tutti quei valori e per tutti quegli equilibri istituzionali che nella nostra Costituzione trovano espressione. Qualche volta noi dell’ANPI siamo accusati di essere conservatori, se non addirittura nostalgici, di opporci a qualsiasi ipotesi di modifica costituzionale. Non è affatto vero. Lo strumento della revisione costituzionale può essere opportunamente utilizzato per apportare l limitati cambiamenti che sono necessari. Ma su un punto siamo irremovibili: su una certa idea di democrazia. Conoscete tutti l’articolo 1: la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Nelle forme e nei limiti della costituzione, appunto. Vediamo invece con preoccupazione il diffondersi e il radicarsi di un’idea di democrazia come pure e semplice delega a un capo, l’eletto, che come eletto sarebbe l’unico depositario della volontà popolare. La democrazia costituzionale è altra cosa: è partecipazione diffusa ed è delicato equilibrio di poteri divisi. Partecipazione significa valorizzare tutte le espressioni, tutte le voci, della società civile, valorizzare le assemblee rappresentative, dai consigli comunali sino al Parlamento, perché le decisioni che così scaturiranno non saranno la volontà di un capo, ma la volontà di un popolo. Equilibrio e divisione dei poteri, a loro volta, sono l’unica garanzia contro quella concentrazione di poteri che prepara la strada a forme sempre nuove di autoritarismo e che nell’esperienza storica del fascismo italiano si è manifestata in forme drammatiche.

Ma forse –e mi avvio a concludere- c’è anche un antifascismo eterno. Nel 1995, uno dei più importanti tra i nostri uomini di cultura, Umberto Eco, ha scritto un saggio intitolato Il fascismo eterno. Se c’è un fascismo eterno, ne devo dedurre che c’è anche un antifascismo eterno. Non vi annoierò ricordandovi tutti i quattordici elementi che secondo Umberto Eco caratterizzano il fascismo eterno, quello che non è solo del passato, ma potrebbe anche essere del futuro e, soprattutto del presente; quello che non è solo di un luogo ma potrebbe essere in ogni luogo, anche fra noi. Vorrei solo segnalarvi alcuni di questi elementi, quelli che mi sembrano più attuali e incombenti e rispetto a cui, perciò, più alta deve essere la vigilanza. Primo: l’esaltazione dell’azione per l’azione. Conta solo agire. I dibattiti e le discussioni sono chiacchiere inutili. Goebbels, il famigerato ministro della propaganda nazista, diceva: “quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola”. Il rifiuto della cultura, il fastidio per ogni  critica, conducono ad interpretare ogni disaccordo come un tradimento. Secondo: la paura della differenza. La nostra società è destinata a divenire sempre più multietnica e multireligiosa. E’ normale che questo susciti anche delle ansie e delle paure. Ma non dimentichiamoci mai che la vera e propria criminalizzazione della differenza è la via maestra che conduce alla xenofobia e al razzismo, l’essenza, il cuore di ogni fascismo. Terzo: il machismo, l’esaltazione della virilità e il disprezzo della donna. Mi piace, tra gli elementi del fascismo eterno richiamati da Eco, ricordare questo, che mi pare abbia una sua tragica attualità, ad ascoltare le cronache che ci parlano ogni giorno di donne offese, stuprate e svilite da maschi di ogni colore e di ogni ceto sociale, nei focolari delle famiglie e nei margini del degrado urbano. Quarto: il populismo. L’idea che il popolo sia una massa indistinta, priva di bisogni e di biografie diverse. L’idea che il popolo sia, a seconda delle circostanze, un bambino immaturo, da educare e proteggere con forme di paternalismo statalista, o un consumatore sciocco da sedurre con le sirene delle merci. Mai, in ogni caso, un soggetto politico plurale che ha il diritto di partecipare alla vita pubblica in tutte le forme che la Costituzione suggerisce..

Partecipare. L’unico antidoto all’indifferenza è la partecipazione. E’ una parola bellissima, partecipazione. Vuol dire prendere parte. Non stare a guardare. Anche partito, che ha la stessa radice, è una parola bellissima. E dobbiamo stare attenti a non confondere le giuste critiche che muoviamo ai partiti politici con il qualunquismo di chi pensa che i partiti siano di per sé un male. Senza i partiti, semplicemente non ci sarebbe democrazia. Ci sarebbe solo l’uomo forte, i poteri forti, i potentati economici e massmediatici. Partecipazione, partiti, ma anche, ovviamente, partigiani. La radice è sempre quella: prendere parte. E anche se oggi –triste segno dei tempi? – la parola partigianeria ha assunto un significato negativo divenendo sinonimo di faziosità e settarismo, non dobbiamo mai dimenticare che il partigiano è, innanzitutto, colui che prende parte, colui che, quando la Storia chiama, risponde all’appello. E partigiani dobbiamo essere noi, oggi. Partigiani, non faziosi: semplicemente consapevoli che i valori della democrazia e dell’antifascismo scolpiti nella nostra Costituzione non sono negoziabili e che, in loro nome, non dobbiamo avere paura di schierarci.

Questi, insomma, mi sembrano gli elementi di un antifascismo che potrebbe continuare a parlare anche alle nuove generazioni e aiutare noi a mantenerci all’altezza della straordinaria testimonianza morale, civile e politica, della Resistenza italiana".


 

 

proclama CLN Lissone 25 aprile 1945

 

timbro del CLN Lissonetimbro-del-CLN-Lissone-originale.JPGtimbro CLN Lissone

 

 

 

dal discorso, per la ricorrenza del 25 Aprile 1974, del Sindaco Sergio Missaglia

“… la storia ci insegna che il fascismo si apre i suoi oppressivi spazi, proprio là dove le differenziazioni sociali si cristallizzano, dove le iniziative di progresso stagnano o sono condotte senza chiarezza di obiettivi, e là dove un egoistico disinteresse o lassismo preparano un terreno fertile alla provocazione ...”

 

 

«il fascismo è la negazione della dignità umana» Sandro Pertini 

 

 

 

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