Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Dal 25 luglio all’8 settembre 1943

23 Juillet 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #il fascismo

N° 9 La Stampa luglio 43 N° 9B annuncio armistizio

Nei 45 giorni che vanno dal 25 luglio, caduta del fascismo e nomina di Badoglio a capo del governo, all’8 settembre 1943, armistizio con gli Alleati, tutto è nelle mani del Re e di Badoglio. L'obiettivo che monarchia e governo perseguono non ha nulla in comune con le speranze degli antifascisti: la monarchia scartava la possibilità della formazione di un governo nel quale fossero inclusi i democratici - che avrebbe significato la rottura immediata dell'alleanza con la Germania e la richiesta di un armistizio agli Alleati - preferendo trasformare la dittatura fascista in dittatura militare e continuare la guerra.

La sola ed esclusiva preoccupazione del re era che si verificasse una sollevazione di popolo, che avrebbe ostacolato il pacifico trapasso dei poteri dal governo fascista al governo militare di Badoglio e quindi messo in pericolo le sorti della corona. Avvenne perciò che alla folla in tripudio si rispose con lo stato di assedio. L'ordine venne mantenuto al prezzo di 83 morti, 308 feriti e 1554 arrestati, per la quasi totalità operai scioperanti e dimostranti.

Ma per rendersi conto di che significasse lo stato d'assedio e delle ben più gravi conseguenze che ne sarebbero potute derivare, basterà leggere il seguente stralcio della circolare Roatta diramata a tutti i comandi militari: «Muovendo contro gruppi di individui che perturbino ordine aut non si attengano a prescrizioni autorità militare, si proceda in formazione di combattimento et si apra il fuoco a distanza anche con mortai et artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche. Medesimo procedimento venga usato da reparti in posizione contro gruppi di individui avanzanti (...). Non è ammesso il tiro in aria; si tira sempre a colpire come in combattimento (...). Apertura immediata del fuoco contro automezzi che non si fermano all'intimazione; i caporioni e istigatori di disordini, riconosciuti come tali, siano senz'altro fucilati se presi sul fatto, altrimenti siano giudicati immediatamente dal Tribunale di Guerra sedente in veste di Tribunale straordinario».

La proclamazione dello stato d'assedio equivaleva a quello che nella terminologia militare viene detto il falso scopo. Si era infatti voluto giustificarla adducendo ad arte il pericolo di una reazione dei fascisti contro il nuovo governo. Lo scopo vero era di fronteggiare una temuta sollevazione popolare. La quale peraltro non era in quel momento minimamente ipotizzabile date le circostanze.

 

Certi comandi militari profittarono dello stato d'assedio per reprimere spontanee e legittime manifestazioni di gruppi politici. L'atteggiamento chiaramente repubblicano assunto da partiti e da uomini eminenti spaventò i circoli monarchici che consigliarono cautela, repressioni, reazione, Badoglio ricevette dal sovrano un promemoria, in cui questi timori sono riecheggiati: «L'attuale governo deve conservare e mantenere in ogni sua manifestazione il proprio carattere di governo militare come annunciato nel proclama del 26 luglio [...] deve essere lasciato a un secondo tempo e a una successiva formazione di governo l'affrontare i problemi politici [...] l'eliminazione presa come massima di tutti gli ex appartenenti al partito fascista da ogni attività pubblica deve quindi recisamente cessare [...] la sola revisione delle singole posizioni deve essere attentamente curata per allontanare e colpire gli indegni e i colpevoli [...] a nessun partito deve essere consentito né tollerato l'organizzarsi palesemente [...] le commissioni costituite in misura eccessiva presso i ministeri sono state sfavorevolmente accolte dalla parte sana del Paese; tutti, all'esterno e all'interno, possono essere indotti a credere che ogni ramo delle pubbliche amministrazioni sia ormai inquinato [...] ove il sistema iniziato perdurasse si arriverebbe all'assurdo di implicitamente giudicare e condannare l'opera stessa del re [...] la stessa massa onesta degli ex appartenenti al partito fascista, di colpo eliminata senza specifici demeriti, sarà facilmente indotta a trasferire nei partiti estremisti la propria tecnica organizzativa, venendo così ad aumentare le future difficoltà di ogni governo d'ordine; la maggioranza di essa, che si vede abbandonata dal re, perseguitata dal governo, mal giudicata e offesa dall'esigua minoranza dei vecchi partiti che per venti anni ha supinamente accettato ogni posizione di ripiego, mimetizzando le proprie tendenze politiche, tra non molto ricomparirà in difesa della borghesia per affrontare il comunismo, ma questa volta sarà decisamente orientata a sinistra e contraria alla monarchia ... ».

Quando si parlò al consiglio dei ministri di mandar via i prefetti troppo compromessi con il fascismo, Fornaciari, ministro degli Interni, non seppe proporre che tre o quattro nomi. Alla Cultura Popolare il ministro Rocco aveva conservati al loro posto tutti i capi servizio; si che la censura preventiva sulla stampa, istituita dal governo militare per motivi di guerra e di ordine pubblico, era fatta con criteri reazionari; era vietato occuparsi delle responsabilità del fascismo, impedito qualsiasi accenno alle persone che nel fascismo avessero rappresentato una parte qualsiasi; la censura vietò persino che si desse notizia della scomparsa di Ciano da casa sua. I giornali uscivano con grandi finestre bianche nel testo degli articoli di fondo e nelle colonne delle informazioni: ché la censura si faceva all'ultimo momento, sui bozzoni dell'impaginato.

I gerarchi fascisti furono per la maggior parte lasciati liberi. La Milizia fu sciolta, ma incorporata nell'Esercito; gli squadristi , invece di essere arrestati o sorvegliati, furono arruolati proprio in quelle formazioni che più avevano bisogno di essere sottratte a ogni influsso fascista che ne minava la compattezza.

Fu emanato un ordine perché i podestà fascisti rimanessero ai loro posti, così che a Roma, ad esempio, una commissione democratica di ingenui cittadini che si era recata in Campidoglio per chiedere la rimozione del governatore di nomina fascista fu arrestata e tradotta a Regina Coeli.

L'amnistia ai detenuti politici furono sì ottenuti per l'intervento energico del Comitato delle opposizioni di cui facevano parte Buozzi, Bonomi, De Gasperi, Ruini, Salvatorelli, Amendola.

L'amnistia per i detenuti fu emanata, ma ne furono praticamente esclusi, sulle prime, i comunisti, molti dei quali, anche quando l'assurda parzialità - che colpiva il
90% dei detenuti e l'80% dei confinati politici - fu potuta rimuovere, poterono uscire solo in agosto e spesso anche solo ai primi di settembre.

Scrive Luigi Longo nel suo libro “Un popolo alla macchia”: «Leo Lanfranco, l'uomo che nel marzo aveva diretto il primo grande sciopero della Fiat (verrà fucilato dai tedeschi nel 1945 perché comandante di una divisione partigiana), fu arrestato da Badoglio in agosto. Quarantasette antifascisti napoletani, rei di aver tenuto una riunione pubblica, furono arrestati nello stesso mese, e un mese più tardi scamparono per miracolo al massacro che i tedeschi, prima di sgombrare la città, avevano deciso di effettuare. Emilio Sereni una delle figure più notevoli della Resistenza reduce da anni e anni di carcere, di confino e dal maquis” francese fu processato in regime badogliano, insieme a molti altri suoi compagni di lotta. Di questi, alcuni furono anche condannati a morte, e sottratti alla esecuzione solo nella confusione dell’8 settembre. Sereni stesso, e altri condannati a decine di anni di reclusione, poterono essere liberati dai partigiani soltanto un anno dopo, strappati dalle mani dei teschi e dei repubblichini. Noi di Ventotene fummo tra gli ultimi ad essere liberati; per lunghi giorni i compagni temettero seriamente per la nostra sorte, essendo l'isola sottoposta a pericoli di bombardamento e scarseggiando i mezzi di trasporto necessari per ricondurci in continente».

 

Ogni giorno i giornali annunciavano con grandi titoli ed elogianti commenti, i provvedimenti adottati dal governo Badoglio: lo scioglimento del partito; la soppressione del Gran Consiglio e del tribunale speciale; la soppressione della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) con i Balilla e i Figli della Lupa; il sequestro del patrimonio degli ex gerarchi e la nomina di una commissione di magistrati per esaminare l'origine dell' arricchimento di gerarchi e di alti funzionari; la soppressione delle corporazioni, con la nomina a commissario della disciolta federazione dell'industria di Bruno Buozzi, ex segretario della federazione degli operai metallurgici, liberato dal confino, e la nomina a vicecommissario Giovanni Roveda, già organizzatore della Camera del lavoro di Torino; l'abrogazione delle leggi sul celibato; la soppressione del libro di stato per le scuole; il ripristino dei ginnasi-licei; l'abolizione del saluto romano nell'esercito; la soppressione del fascio littorio sui biglietti di banca; lo sbattezzamento della corazzata Littorio che diventava Italia, dei cacciatorpediniere Camicia Nera e Squadrista che diventavano Artigliere e Corsaro. Intanto nuove restrizioni della libertà venivano messe in atto, come il coprifuoco istituito per la prima volta a memoria d'uomo.

 

I partiti nel loro insieme non erano pronti ad assumere un ruolo politico di rilievo, lo assumeranno solo dopo l' 8 settembre.

Nel mese di giugno, a Milano, si erano tenute due riunioni fra i rappresentanti del Partito d'azione, del partito comunista, del partito socialista, del Movimento di unità proletaria, della Ricostruzione liberale e della Democrazia cristiana. Un progetto di appello al paese non fu approvato per la pregiudiziale repubblicana del Partito d'azione e perché i rappresentanti liberali e cattolici non approvarono l'invito alla lotta immediata. Era chiaro, però, che bisognava innanzi tutto rafforzare l'unità e la compattezza d’intenti del fronte antifascista.

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Tra la gente, nel volgere di pochi giorni tornò la coscienza della paurosa condizione del Paese; la Sicilia pressoché perduta, e centinaia di migliaia di suoi abitanti profughi, ignudi, desolati; sul continente l'offensiva avversaria sempre più pesante e risoluta e i tedeschi sempre più prepotenti in casa, più padroni che alleati; l'impossibilità di continuare la guerra, l'impossibilità di smetterla; le campagne devastate, parte dei raccolti perduti; sospeso l’arrivo del grano dalla Romania, cessato l'arrivo del carbone dalla Germania, cessato l'arrivo del petrolio, perché i tedeschi così volevano punirci del colpo di Stato, e tenerci alla loro mercè.

 

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Un'offensiva aerea scatenata dagli gli angloamericani superò per terribilità, per danni, per violenza ogni altra precedente.

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Per tutto il mese di agosto, per tutta la prima settimana di settembre, fino a cinque ore prima della proclamazione dell'armistizio, attacchi dall'aria si abbatterono sulle illustri città nostre, non ci fu giorno che non giungesse il grido di dolore da una o più di esse, da Napoli o da Torino da Salerno o da Novara, da Cagliari, da Genova, da Milano: da Roma, da Viterbo, da Benevento, da Grosseto, da Foggia, da Taranto, da Bologna, da Terni, da Civitavecchia, da Orte, da Pisa, da Pescara, da Ancona, da Trento da Bolzano, da Capua, da Rimini, da Terracina, da Formia, da Cosenza, da Sulmona, da Catanzaro, da Frascati.

Il 3 settembre anche la Calabria è invasa, Corrado Alvaro scrive sul «Popolo di Roma» una pagina commossa per la sua terra divenuta prima linea del fronte di guerra. «Battuta secolarmente dai terremoti e dalle alluvioni distrutta e ricostruita almeno una volta ogni secolo, conosce ora la più grande rovina, quella che non ne colpisce solamante le abitazioni costruite Dio sa con quanta pena, vissute Dio sa con quante lacrime, traversie, emigrazioni, lontananze, rimpianti, ritorni, ma distrugge la terra stessa, quella che porta il pane e i frutti e l'olio e il vino, gli alimenti di questo popolo sobrio, silenzioso alla pena, che ama disperatamente la sua vita amara».

bombardamenti-aerei.jpg Milano-Piazza-Fontana-bombardamento.jpg Milano-dopo-un-bombardamento.jpg Milano-galleria-.gif Roma bombardata 19 luglio 1943

 

Le classi operaie volevano la pace, si capisce, e al più presto possibile, la chiedevano per prima cosa, non volevano più costruire armi e strumenti per una guerra odiata, per un alleato ripudiato, anzi rinnegato fino dal primo giorno (comparvero scritte cubitali sui muri di Trastevere: «Vogliamo la pace, via i tedeschi dall'Italia! A morte i tedeschi e i fascisti»): ma si rendevano conto come fosse minacciosa la faccia delle cose nel nostro paese povero, senza scorte, con i tedeschi in casa. Ahimè, non potevano immaginare che attraverso tanti errori e tante calamità si sarebbe arrivati a un armistizio che volle dire soltanto inizio di nuove tribolazioni. Né che l'esercito si sarebbe dissolto; e gli operai avrebbero avuto l'angosciosa esperienza - come quelli delle fabbriche di Milano accorsi in tuta ai comandi militari a chiedere armi, a chiedere di combattere, a chiedere che la città fosse difesa dai tedeschi - di vedersi negata anche la possibilità di correre alle barricate.

 

Bibliografia:

Luigi Longo - Un popolo alla macchia - Editori Riuniti 1965

Giovanni Battista Stucchi - Tornim a baita, dalla campagna di Russia alla Repubblica dell'Ossola - Vangelista Editore, 1983

Paolo Monelli - Roma 1943 – Einaudi 1993

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