Sito dell'A.N.P.I. di LISSONE - Sezione "Emilio Diligenti"

Francia, anno 1936: il FRONT POPULAIRE

19 Juillet 2011 , Rédigé par anpi-lissone Publié dans #episodi di storia del '900

Toccata più tardi, ma non meno gravemente dalla crisi mondiale (del 1929), la Francia subisce allo stesso tempo il discredito che subisce il sistema repubblicano. Alla fine, la sinistra prende il potere e si impegna a promuovere un nuovo ordine sociale ed economico, incontrando delle forti opposizioni.

 

I mezzi economici francesi, benchè reali, si rivelano ben presto insufficienti per far fronte ad una crisi mal compresa dai responsabili politici, che rifiutano l’adozione di misure drastiche, utilizzate da altri paesi, specialmente la svalutazione. Sebbene l’economia francese non fosse crollata come quella degli stati vicini, tuttavia era in costante flessione; nel 1935, la produzione industriale raggiunge ancora il 75 per cento di quella del 1929, e i disoccupati, tra l’altro poco assistiti, non sono ufficialmente che 465.000.

La classica politica di deflazione e la diminuzione per legge degli stipendi o dei prezzi (decreti legge Laval del 1935) accrescono il malessere sociale, che aumenta per un antiparlamentarismo accresciuto dagli scandali che agitano la cronaca: l’affare Stavisky, seguito dalle dimissioni di Chautemps e dalla sostituzione del prefetto Chiappe, esaspera l’opinione pubblica.

 

* * *  

Nel febbraio 1934, non c’è stato un «complotto fascista» ma la gravità dei moti testimonia un malessere sociale e politico.

Nel gennaio 1934, l’ antiparlamentarismo dell’opinione pubblica è esacerbato dal misterioso suicidio di Stavisky,truffatore legato al mondo politico. Inoltre Chiappe, prefetto di Parigi, giudicato troppo indulgente con le leghe, viene sostituito. Queste ultime scendo allora nelle strade il 6 febbraio, giorno dell’investitura del governo Daladier. Si formano diversi cortei: la Croix-de-Feu (organizzazione di ex combattenti, antiparlamentare e nazionalista, fondata nel 1927, e sciolta dal governo del Front Populaire) manifesta in ordine, l’Union nationale des combattants mostra invece una maggiore aggressività nei confronti delle forze dell’ordine; infine, l’Action française e le Jeunesses-Patriotes hanno intenzione di marciare verso il Palais-Bourbon (la sede dell’Assemblea Nazionale). Lo scontro cercato avviene in place de la Concorde; i poliziotti, bombardati da proiettili, fanno fuoco. Negli scontri ci saranno 17 morti e 2.000 feriti. Per cercare di rappacificare gli animi, Daladier, nonostante il sostegno della Camera, si ritira, sostituito da Doumergue: il governo legittimo ha ceduto alla strada, ma il regime ha retto.  

* * *

LA NASCITA del FRONT POPULAIRE

Il 6 febbraio 1934, a Parigi, diverse leghe manifestano con estrema violenza contro «i ladri e i corrotti» ma senza cercare di abbattere il regime benchè screditato. Questi gravi incidenti - 17 morti e più di 2.000 feriti – finiscono tuttavia per suscitare un riflesso di «difesa repubblicana» tra i partiti di sinistra, nonostante una profonda ostilità reciproca, aggravata dall’isolamento del partito comunista, dovuto alla strategia di «classe contro classe» imposta da Mosca.

Qualche giorno dopo tutto evolve. La spinta della «base» si vede il 12 febbraio: i cortei socialista e comunista fraternizzano durante una sfilata di protesta.

Preoccupato della situazione tedesca, il Comintern impone al partito comunista la politica della «mano tesa». Nel giugno del 1934, Maurizio Thorez propone un patto di unità d’azione alla S.F.I.O. (Section Française de l’Internationale Ouvriere, dal 1969 PS, Parti Socialiste), che, il mese seguente, l’accetta; il 13 novembre rivolge la sua proposta ai radicali, con l’idea di un «Front Populaire del lavoro, della libertà e della pace».

Le sconfitte elettorali del partito radicale nel 1934 e nel 1935, la foga dei suoi «Jeunes-Turc» (corrente del partito radicale) - Cot, Mendès France e Zay – spingono questa formazione a partecipare a una giornata comune con la S.F.I.O. e il partito comunista, il 14 luglio 1935, vero atto di nascita del «Rassemblement populaire».

 

VITTORIA ELETTORALE

La manifestazione è un successo che prelude all’alleanza dei partiti e dei sindacati di sinistra in vista delle elezioni del 1936. Il programma di governo, pubblicato nel mese di gennaio, è composto di tre parti: difesa delle libertà contro le leghe faziose, lotta contro la crisi economica e sociale, sicurezza collettiva, che si riassume nella formula «pace, pane, libertà». La S.F.I.O. vi inserisce diverse misure precise e concrete che spera di realizzare. La destra conduce una campagna difensiva sul pericolo bolscevico. Un attentato dei Camelots du roi (organizzazione monarchica) contro Léon Blum in occasione delle esequie di Jacques Bainville (storico monarchico), la rimilitarizzazione della Renania condotta da Hitler, che la Francia lascia fare, la vittoria del Frente popular spagnolo pesano sulle ultime settimane precedenti le votazioni. Alla vigilia del primo turno elettorale, l’Humanité rassicura l’elettorato delle classi medie, intitolando: «Per l’ordine, votate comunista».

Nonostante un tasso di partecipazione record, la sinistra non ottiene che 300.000 voti di più di quelli ottenuti nel 1932, e i ballottaggi sono molto numerosi. Ma l’accordo di votare il candidato meglio piazzato assicura una netta maggioranza al Front Populaire in occasione del secondo turno: 378 seggi su 598. Due sorprese: da una parte, distanziati per la prima volta dai socialisti, i radicali perdono 49 seggi; dall’altra i comunisti moltiplicano per sette il numero dei loro eletti. Più che l’elettorato, il mondo politico va a sinistra. Vincitore della coalizione, Léon Blum diventa presidente del Consiglio alla riapertura delle Camere, il 4 giugno 1936. Primo problema: i comunisti declinano la loro partecipazione al governo; la pressione di Mosca li mantiene lontano dalle responsabilità, per lasciarli liberi di esercitare dal di fuori «una sorta di ministero delle masse», secondo il motto di Paul Vaillant Couturier, direttore de l’Humanité.

I socialisti occupano i ministeri economici e sociali, i radicali ottengono dei posti più politici. Questa prudente distribuzione degli incarichi ministeriali è innovativa per certi aspetti, tra cui la nomina di tre donne segretario di Stato - quando le donne non avevano ancora il diritto di voto – e un manifesto ringiovanimento. Inoltre, Léon Blum ha la saggezza di non cumulare la presidenza del Consiglio con altri ministeri.  

* * *

 LÉON BLUM

Léon Blum 

L’affare Dreyfus e il prestigio di Jean Jaurés (fondatore del foglio socialista l’Humanité, pacifista, energico difensore di Alfred Dreyfus, assassinato da un nazionalista francese) sono determinanti per l’ingresso in politica di questo brillante e raffinato studente dell’Ecole Normale, proveniente da una famiglia di ebrei dell’Alsazia.

Consigliere di Stato, capo di gabinetto del ministro socialista Marcel Sembat nel 1914, ostile all’Internazionale comunista, artefice del cartello delle sinistre, fa crescere il numero dei votanti la S.F.I.O. fino a farla diventare il primo partito di Francia nel 1936; generoso, idealista, perfino entusiasta, il nuovo presidente del Consiglio è un riformista che tenta di piuttosto di conciliare giustizia sociale ed economia liberale. Il suo programma non manca di coerenza, ma ignorava le regole del mercato e si scontrava con l’incomprensione di un padronato distaccato a causa delle difficoltà dell’anteguerra. Capro espiatorio del governo di Vichy, Léon Blum è tradotto davanti alla corte di Riorn nel febbraio 1942, ma si difende così bene che il processo ridicolizza il regime. Deportato in Germania dopo l’invasione della zona libera, presiede un gabinetto effimero dal dicembre 1946 al gennaio 1947, poi si ritira dalla vita politica.    

* * *

UNA KERMESSE PRIMAVERILE

Una settimana dopo la vittoria del FRONT POPULAIRE, scoppiano degli scioperi spontanei che travalicano le tradizionali organizzazioni sindacali. Il movimento ha inizio il 12 maggio a Le Havre, raggiunge Parigi il 14, poi si propaga in provincia. Il 10 giugno, tre milioni di scioperanti occupano i loro luoghi di lavoro in un clima da “buoni ragazzi”. La gioia della vittoria elettorale, il timore diffuso di non poterne raccogliere i frutti, ma con la speranza di un miglioramento delle condizioni della vita quotidiana e il sentimento di una dignità acquisita, sono i principali caratteri di questi scioperi né rivoluzionari né aggressivi: gli operai rispettano gli attrezzi di lavoro e limitano i loro obiettivi alla fabbrica in cui lavorano.

Léon Blum, preso alla sprovvista, calma questo sfogo collettivo con una serie di decisioni spettacolari che vanno oltre il suo programma elettorale: L’11 e il 12 giugno 1936, alcune leggi istituiscono la settimana di 40 ore, 15 giorni di ferie pagate per tutti i salariati e dei contratti collettivi per tutte le categorie professionali.

1936 manifesto CGT

Già la Confederazione nazionale francese del padronato negozia con la C.G.T. (Confédération Générale du Travail) con la mediazione del governo: gli «accordi Matignon» del 7 giugno rivalutano i salari dal 7 al 15 per cento, garantiscono la libertà sindacale, istituiscono i contratti collettivi così come l’elezione dei delegati del personale. Gli scioperi diminuiscono, mentre i «biglietti Lagrange (Ministro delle Attività ricreative)», a tariffe preferenziali, facilitano le prime vacanze per milioni di francesi. Nel corso dell’estate 1936, la volontà di giustizia sociale legata ad un rilancio dell’economia, induce il governo Blum ad una intensa attività legislativa: le industrie degli armamenti e l’industria aeronautica vengono nazionalizzate, sono riformati gli statuti della Banca di Francia (organizzazione privata), la scolarità obbligatoria è prolungata fino ai 14 anni, viene dato un forte impulso al tempo libero e alla cultura. Grandi lavori sono programmati per riassorbire la disoccupazione. Infine la creazione di un Ufficio del grano dovrebbe contribuire a far aumentare le tariffe agricole falcidiate dalla crisi.    

* * *

LO SCIOPERO BIANCO

Per la prima volta, le sospensioni dal lavoro assumono un carattere sorridente. Novità, le fabbriche e le officine sono occupate e diventano un luogo di festa popolare: gli scioperanti giocano a carte o alle bocce, ballano al suono delle fisarmoniche e sono riforniti dalle loro famiglie. Questo entusiasmo tutto pacifico resterà nella memoria.

1936 lavoratori francesi in sciopero

Sorprende i partiti e le stesse centrali sindacali, perchè gli scioperi paradossalmente non riguardano i settori più sindacalizzati. Ordinati, le violenze sono rarissime, piuttosto moderati nelle loro rivendicazioni, questi scioperi cambiano il clima delle imprese; un padrone favorevole al Front Populaire parla di «cura psicoanalitica» della Francia.  

* * *

LE PRIME DIFFICOLTÀ

L’euforia è di breve durata. Il Front Populaire si scontra rapidamente con l’amara realtà della politica estera e dell’economia. La guerra civile spagnola, che scoppia il 18 luglio 1936, provoca la prime crepe nella coalizione di governo: ostili ad ogni sostegno ai repubblicani spagnoli, mentre i socialisti si dimostrano favorevoli, i radicali minacciano di far cadere il governo, Blum cede, ma il non intervento della Francia provoca lo stupore degli «antifascisti» e preannuncia la prossima rottura con i comunisti, fautori accaniti del sostegno.

La conclusione del patto Roma-Berlino sconvolge le alleanze e obbliga la Francia ad aumentere le spese militari, che appesantiscono il bilancio dello Stato. L’attività economica resta stagnante, malgrado una timida ripresa: i prezzi aumentano per compensare le concessioni accordate a giugno. Pierre Gaxotte, un acuto uomo di destra, sottoliea «questa cattiva abitudine del padronato di lasciarsi strappare quello che potrebbero concedere di buona grazia». Gli industriali si rifiutano di investire, alcuni speculano contro il franco; le riforme sono costate caro, senza dare i risultati sperati: la generalizzazione delle «quaranta ore» non ha fatto crescere l’occupazione. Il 28 settembre 1936, il ministro delle Finanze Vincent Auriol svaluta il franco del 25% .

La vita politica interna è avvelenata dagli odiosi attacchi dell’estrema destra, le cui calunnie spingono il ministro degli Interni al suicidio. Sciolte nel mese di giugno, le leghe si ricostituiscono in partiti politici e denunciano la «sovietizzazione della Francia». La stampa moderata approva in coro. Il malessere aumenta: i radicali si preoccupano per l’inefficacia delle riforme, i comunisti, al contrario, reclamano delle misure più dirigiste, come il controllo dei cambi. L’elettorato è sconcertato per l’aumento dei prezzi e per la svalutazione, che decurtano gli aumenti salariali; in autunno degli scioperi sporadici riprendono in tutti i settori ed altri, tuttavia, non possono essere evitati dall’intervento delle commissioni di conciliazione e di arbitrato, istituite nel mese di dicembre. La fiducia nel governo diminuisce: la fuga dei capitali si aggrava, il deficit del bilancio e l’inflazione aumentano.

 

LA FINE DEL FRONT POPULAIRE

Di fronte ad una situazione così delicata, Léon Blum auspica una «pausa» delle rivendicazioni. Il 13 febbraio 1937, il suo annuncio della sospensione delle riforme non frena l’agitazione sociale. Deluso, il presidente del Consiglio così si esprime durante l’inaugurazione dell’Esposizione internazionale del 1937: «I lavoratori non devono confondere libertà e licenza». Qualche settimana prima, la «sparatoria di Clichy» (5 morti e 500 feriti) aveva aggravato la tensione nella coalizione di governo. I comunisti non sostengono più il governo, già minato dal sabotaggio finanziario del padronato. La maggioranza moderata e radicale del Senato rifiutano a Blum la concessione dei pieni poteri, che gli consentirebbero di combattere la speculazione. Il presidente del Consiglio preferisce dare le dimissioni, fedele alle sue convinzioni: «Sono determinato ad affrontare tutto tranne una cosa: un disaccordo con il partito o con l’insieme della classe operaia». Quattro governi prolungano l’agonia del Front Populaire, a poco a poco abbandonato dai radicali. Il gabinetto Chautemps, appoggiato ancora dai socialisti, nazionalizza le compagnie ferroviarie deficitarie. La persistenza degli scioperi, appoggiati dai comunisti, ostacola la ripresa, ma i socialisti fanno dimettere Chautemps che vuole rimettere in discussione il principio delle quaranta ore. Un secondo gabinetto Blum dura qualche giorno. Il 10 aprile 1938, Daladier forma un governo di radicali e di centrodestra; il Front Populaire è ormai un ricordo e un decreto legge del novembre 1938 sopprime la settimana di quaranta ore lavorative.

 

UN MITO POLITICO

Il Front Populaire, primo esercizio del potere da parte di una maggioranza socialista riformista, non ha resistito alla congiunzione di un contesto internazionale teso e all’ostilità degli ambienti finanziari. Le numerose promesse del partito comunista all’elettorato e gli errori di gestione riducono ancora la sua portata politica. Ma l’eredità sociale pone un’ipoteca sul futuro e consente al Front Populaire di diventare un mito per la sinistra francese.  

* * *

LE QUARANTA ORE

La crisi economica rende popolare l’idea di una diminuzione del tempo di lavoro da quarantotto a quaranta ore settimanali, a parità di salario. I sindacati prevedono una miglioramento della produttività e la possibilità di una riduzione della disoccupazione, ma gli ambienti economici, al contrario, avanzano una serie di riserve. I decreti di applicazione promulgati dall’ottobre 1936 alla primavera del 1937 mancano di elasticità. Applicate troppo rapidamente, le «quaranta ore» producono pochi effetti sulla ripresa economica ed il padronato è reticente nell’applicare questa legge. D’altra parte, le imprese non possono sostituire il loro personale qualificato con dei lavoratori con poca esperienza e devono sopportare un aumento del costo del lavoro, soprattutto intervenuto in un periodo di recessione.  

* * *

LE FERIE PAGATE

Le «vacanze pagate» non erano un’innovazione: gli impiegati degli uffici già ne usufruivano. Di più, la recessione induce alcune aziende a fermarsi per qualche settimana durante il mese di agosto; ma queste ferie forzate sono una disoccupazione tecnica mascherata e non remunerata. Da ultimo, il Senato respinge tutti i progetti di legge. Tuttavia, l’11 giugno 1936, un voto quasi unanime – meno un voto – estende le «ferie pagate» a tutti i salariati che hanno almeno un anno di anzianità. L’iniziativa non figurava in modo esplicito nel programma elettorale, ma gli scioperi spingono Léon Blum a prendere tale misura. All’inizio dell’estate i beneficiari si affrettano a salire sui «treni del piacere» a tariffe ridotte  del 40%. Scoprono la Francia, sacco in spalla o sui tandem,

1936 famiglia francese in tandem

alcuni vedono il mare per la prima volta nella loro vita o ritornano, dopo lungo tempo, ai paesi lasciati. Leo Lagrange; ministro dello Sport e del Tempo libero, moltiplica il numero degli stadi, le piscine, gli ostelli della gioventù. Certamente, qualche privilegiato scontroso deplora il degrado delle spiagge da parte dei «poveracci col baschetto che vogliono coprire la Francia di cartacce unte». Benchè molte famiglie rimangono a casa per mancanza di mezzi, le ferie pagate non saranno mai rimesse in discussione. Più commoventi le migliaia di cartoline postali che affluiscono al Matignon (residenza del Primo ministro) con queste semplici parole: «Grazie signor Blum».  

 

Partager cet article
Repost0
Pour être informé des derniers articles, inscrivez vous :